Dopo trent’anni di professione
è difficile parlare
di emozioni alla vigilia di
una prima Tv. «O meglio,
ci sono anche adrenalina
e responsabilità. Tre
ingredienti che fanno il
mestiere». Raggiungiamo
Gerry Scotti il giorno prima del
debutto su Canale 5 della seconda
edizione, da lui condotta, dello Show
dei record.
E da buon padre di famiglia,
o “zio d’Italia”, ci tiene subito a dare
qualche rassicurazione.
«Lo rifaccio perché mi diverte, appassiona,
incuriosisce e, per certi versi,
spaventa e allontana. È un genere
che mi piace per tutto quello che sono
curiosità, stranezze, capacità fisiche,
prove di abilità. Poi c’è una parte... orrida
che piace molto ai più piccoli e che
io trovo un po’ raccapricciante, come
sollevare 100 chili con la lingua. Ma
voglio rassicurarvi: quando una cosa
mi fa schifo si capisce dalla faccia.
D’altra parte, c’è da dire che la nostra
società ci ha abituati alle eccellenze.
Viviamo sotto l’egida del record,
ma di qualcun altro. Vogliamo allora
accettare, tollerare o, talvolta, addirittura
ammirare che in diverse parti del
mondo c’è qualcuno che si è inventato
un buon motivo per eccellere? Che
sia stare sott’acqua per minuti, farsi
crescere a dismisura la barba o le unghie?
Anche perché spesso sono curiosità
che nascono da un lunghissimo
allenamento anche di 12 mesi,
per 12 ore al giorno. O, talvolta, da una
necessità: come quel signore della mia
stazza che si butta di pancia nella piscina
dei neonati. Lui faceva l’assicuratore,
quando poi ha perso il lavoro si è chiesto
cosa sapesse fare e si è ricordato che
per far ridere i figli faceva proprio
questo e oggi gira il mondo. Io non
so se sia uno che va imitato, di certo
va rispettato nella sua stranezza».
Uno show che deve parte del
successo alla sua origine “cartacea”, il
libro Guinness World Records che Gerry
regalò al figlio Edoardo quand’era
piccino e che, oggi, ironia della sorte,
o meglio, volontà del regista Roberto Cenci, conducono insieme. «Non
è un passaggio di scettro. Cenci gli
ha chiesto se voleva fare l’inviato speciale
dall’America e dalla Cina e lui ha
accettato con l’entusiasmo e la leggerezza
di un ragazzo di 22 anni. Sapendo
poi che, studiava regia, serviva anche
che coordinasse le telecamere. All’improvviso
si è ritrovato un lavoro di responsabilità
perché ci sono situazioni
dove deve essere “buona la prima”».
Sei forte papà
E buona la prima è
stata. Con Edoardo che apre i collegamenti
chiamandolo papà, «e io che
lo chiamo figlio. Funziona così anche
quando ci sentiamo per telefono. Ho
cercato di non fargliela pesare troppo
perché come padre e “datore di lavoro”
sono un po’ pedante, fastidioso.
Voglio, invece, che viva la sua leggerezza.
Lui è molto più aperto di me».
Eppure per gli amici ci sono mille
somiglianze tra i due, ma Gerry storce
il naso: «Primo: è molto più bello
perché somiglia alla madre. Poi ha
più personalità di me alla sua età, è
volitivo e testardo. Forse io, ma questo
è un problema generazionale, ero più
“affamato”: per i ragazzi oggi ci sono
mamma e papà». Anche se Edoardo
ha scelto di studiare cinema a Los Angeles,
«dimostrandomi di farcela da
solo. Io l’ho aiutato economicamente,
ma certo non è stato un grande sforzo.
Niente a che vedere con quello che
ha fatto mio padre operaio per me
quando lavorava anche di notte per
farmi laureare. Sin da bambino ho cercato
di passargli il suo Dna e quello di
mio nonno contadino, quello che non
poteva prendere da me che venivo riverito
ovunque andassi. Ma la vita
non è fatta di “prego signor Scotti”
ed Edoardo lo sa e si dà molto da fare. Io
gli ho insegnato il rispetto per gli altri,
la fatica e il lavoro. A vivere la ricchezza
non come agio, ma ringraziando il
Signore ogni giorno che ti alzi se puoi
fare un po’ meno fatica. Lui non ha
avuto la fortuna di crescere come me
nella “modalità oratorio”: una scuola
di vita di biliardino, calcetto e calci nel
sedere. Così ho cercato di trasferirgliela
essendo burbero, ma senza esagerare
perché è figlio unico e per quello che
è successo tra me e mia moglie».
Quando Gerry divorzia, il rapporto
con Edoardo cambia, «diventando,
se vuoi, un legame più forte perché
avevamo meno tempo per raccontarci.
Ho cercato di non farglielo pesare
anche perché era già difficile e doloroso
non essere più una famiglia.
Così nel tempo a disposizione ho
provato a fargli vivere con leggerezza
tutto, dal cinema, alla televisione,
al Milan».
Cose che, ancora adesso,
a distanza di anni fanno insieme. «E
oggi sapere che, ovunque vada, posso
incontrarmi con mio figlio come con
un amico mi fa stare bene».