Il Custode di Terra Santa, padre Francesco Patton
«Non è mai bello trovarsi in mezzo alle tensioni, ma i cristiani, qui in Terra Santa, sono, con termine abusato, abbastanza resilienti. Non solo. Quello che sta succedendo non è paragonabile a epoche passate in cui bisognava scappare per salvarsi la pelle».
Padre Francesco Patton, Custode di Terra Santa e Guardiano del Monte Sion, non è spaventato dalla situazione politica e sociale che sta scuotendo Israele in subbuglio per la riforma della giustizia, appena congelata dopo le rivolte di piazza, ma anche per una riforma di legge che renderebbe difficile ogni forma di evangelizzazione.
Padre Patton, che Pasqua si vive in Terra Santa?
«Nonostante tutto i cristiani qui vivono questo tempo importante con molta spiritualità. Certo, le tensioni delle ultime settimane fanno riflettere perché fanno pensare a un clima di intolleranza invece che di accettazione reciproca e di apertura al dialogo. Questo, però, non impedisce di continuare con i riti consueti come è stata, per i latini, la grande processione della Domenica delle Palme o, per gli ortodossi, il fuoco santo che esce dal sepolcro il Sabato Santo».
Come si è arrivati a questo punto? È a rischio la democrazia?
«Direi che quello che è successo è la dimostrazione che la democrazia israeliana è abbastanza forte perché la società civile è stata capace di perseverare nelle proteste per dodici settimane consecutivamente fino a costringere il primo ministro a mettere, almeno un po’, la retromarcia. Bisogna ricordare che le tensioni sono frutto di un percorso che è andato via via delineandosi negli anni: abbiamo visto prima mettere sostanzialmente da parte la questione israelo-palestinese, poi, nel 2018, c’è stata l’approvazione di una basic law, una legge fondamentale, che considera Israele Jewish State, uno Stato ebraico, e quindi tutti quelli che non appartengono alla categoria jewish si sono sentiti in qualche modo cittadini di serie B. Ancora, nel 2020, a ridosso delle celebrazioni della Pasqua ebraica, di quella cristiana e del Ramadan – che in quell’anno più o meno coincidevano – c’è stato un forte scontro tra la componente palestinese- israeliana e quella ebraico- israeliana all’interno di Israele. Infine, l’ultima frattura, all’interno della stessa società ebraica, tra la componente fortemente connotata da un punto di vista nazionalista e religioso e la componente laica che invece non si riconosce in questa impostazione e in questa forma di Stato e che è quella che, in maggioranza, è scesa in piazza in queste settimane. C’è stato un percorso progressivo dove i fanatici si sono sentiti sempre più legittimati e rappresentati persino nel Governo e nel Parlamento».
Cosa succederà, secondo lei?
«Adesso il dove andremo dipenderà in gran parte dalle scelte del Governo e del Parlamento e dalla vigilanza e dalla pressione su di essi da parte dell’opinione pubblica sia interna che internazionale, specialmente da parte degli Stati Uniti, che sono l’attore che più è in grado di orientare la politica israeliana».
Quale può essere il ruolo dei cristiani?
«Quello di Mosè, che sta con le braccia alzate a pregare per consentire la vittoria sugli Amaleciti, come ci racconta il libro dell’Esodo. Ma devono farsi aiutare perché ogni tanto a pregare ci si stanca e la Scrittura dice allora che c’è bisogno di Hur e Aronne per sostenere la posizione. E poi i cristiani possono e devono giocare un ruolo perché, anche se qui sono una comunità piccola, a livello mondiale contano. Il legame con i cristiani che vivono in tutto il mondo è la garanzia che qualcuno si interessa di chi è qui e aiuta anche a tutelare i propri diritti di cittadini, per usare le categorie del documento di Abu Dhabi. Nel testo si parla, appunto, di cittadini con uguale dignità anche lì dove ci si trova a essere una minoranza».
Come rafforzare questo legame, soprattutto durante il tempo pasquale?
«Continuando con i pellegrinaggi, innanzitutto. Questo è il primo modo per manifestare il legame. La gente viene e stiamo rapidamente tornando ai numeri pre-Covid. E poi ricordando la grande colletta del Venerdì Santo quando tutta la Chiesa cattolica fa la raccolta fondi per la Terra Santa. In questo modo i cristiani di tutto il mondo esprimono la solidarietà con i cristiani di qui anche in termini economici, consentendoci di portare avanti la presenza nei santuari e nelle parrocchie, i restauri e tutte le opere necessarie, le scuole e molte altre cose, compresi il soccorso e la ricostruzione nelle zone terremotate della Siria dove noi siamo presenti come comunità di frati e anche come attività pastorale».