Chiara Corbella è fra quegli esempi di vita cristiana che fanno salire la temperatura della fede. A cinque anni esatti dalla scomparsa di questa giovane mamma – che ha sacrificato la sua vita per non uccidere il figlio in grembo – la si ricorda come una “nuova Gianna Beretta Molla”: la sua testimonianza ha varcato i confini e ora in tanti, in Italia ma non solo, la vedono come un modello di “santità feriale” dei nostri tempi.
Katia, ad esempio – mamma italiana di un bimbo di cinque anni, operato di tumore al cervello – racconta di avere affidato a Chiara suo figlio e di aver ricevuto una grazia tramite la sua intercessione: è una delle tante testimonianze che si trovano sul sito che prende il suo nome.
Chiara è una ventottenne romana che, per proteggere il figlio di cui è incinta, rimanda le terapie per curare un carcinoma alla lingua. «Ancora un giorno, ancora 38 grammi in più, prima del parto», ripeteva ai medici, per assicurare la completa formazione del feto. La scelta preserva il bambino, ma si rivela fatale per la madre, dato che il tumore si propaga velocemente in tutto il corpo.
Il piccolo Francesco è nato. Ma, prima di lui, Chiara ed Enrico Petrillo, suo marito, avevano «accompagnato alla porta del Paradiso» altri due figli. Un cammino arduo, vissuto «con l’attitudine alla lode e con lo sguardo costantemente rivolto alla Vergine Maria e ai santi», racconta a Credere fra Vito D’Amato, frate francescano e padre spirituale di Chiara. Fra Vito ha conosciuto Chiara ed Enrico nel tempo di un travagliato fidanzamento, ha poi celebrato il loro matrimonio, ha seguito da vicino la storia dei coniugi, fino agli ultimi istanti di vita della giovane.
Quella di Chiara Corbella è la storia
di una ragazza come tante, che cerca la
sua strada. Chiara impara a «lodare Dio
per ogni cosa» dalla madre, Maria Anselma,
che frequenta una comunità del
Rinnovamento nello Spirito. È una ragazza
piena di vita, aperta, allegra, spiritosa.
Accanto agli studi del liceo e poi
universitari, coltiva la passione per il
canto e la musica: pianoforte e violino.
Negli anni della giovinezza scopre i valori
della spiritualità francescana, come
l’essenzialità, la gioia, l’amore incondizionato
verso tutti. Intraprende l’anno
di servizio civile volontario, nelle Acli di
Roma, dove Chiara conosce da vicino le
difficoltà degli immigrati.
Mano nella mano con un Dio a cui
ama rivolgersi con estrema confidenza,
un incontro segna la sua storia: «A 18
anni – racconterà – in un pellegrinaggio
incontrai Enrico. Nel fidanzamento,
durato quasi sei anni, il Signore ha
messo a dura prova la mia fede. dopo
quattro anni ci siamo lasciati. Furono
momenti di sofferenza e di ribellione
verso Dio. In un corso vocazionale
ad Assisi ritrovai la forza di credere
in Lui: provai di nuovo a frequentare
Enrico e iniziammo a farci seguire
da un padre spirituale».
Il rapporto
di coppia rifiorisce e approda al matrimonio:
Chiara ed Enrico si sposeranno
ad Assisi nel 2008. E il loro percorso
di fede continua ad alimentarsi nella
parrocchia di Santa Francesca Romana
all’Ardeatino, nella capitale.
Il cammino della coppia, così come
lo racconta Enrico Petrillo, è denso di gioie
e dolori, di fatiche e lamenti mutati in
danza. Nel 2009, a un anno dalle nozze, i
due giovani hanno la notizia di aspettare
un bambino. L’ecografia, però, rivela una
grave malformazione cefalica. Chiara,
senza indugi, porta avanti la gravidanza:
la bambina che nasce è, secondo i medici,
«incompatibile con la vita».
Giusto il tempo
per il battesimo e, dopo trenta minuti
di vita, Maria Grazia Letizia «va in cielo delicatamente». «Grazie a questo evento,
Chiara ha smesso di aver paura della
morte», ricorda Enrico. Passano alcuni
mesi e anche la seconda gravidanza
si rivela problematica.
Al feto mancano
gli arti inferiori e i coniugi Petrillo sono
pronti ad accogliere un figlio disabile. Le
patologie si riveleranno più gravi: Davide
Giovanni segue la sorte della sorellina
e morirà dopo mezz’ora di vita. Nonostante
la grande sofferenza, «nel nostro
cuore c’era tanta pace», continua Enrico.
Quando Chiara resta incinta di Francesco,
la famiglia esulta. Il bambino è sano,
ma è la madre ad ammalarsi. Una piccola
afta sulla lingua si rivela ben presto
un carcinoma. Chiara inizierà solo
dopo il parto le terapie per combattere
“il drago”, il tumore violentissimo
e rarissimo che l’aveva colpita.
La ragazza
lotta strenuamente, soffre, spera.
«Voleva vivere, con tutte le sue forze»,
spiega Enrico. Si sottopone a tutte le cure
necessarie, come chemioterapia e radioterapia.
Le metastasi, però,
avanzano e si diffondono ovunque: cervello,
occhi, lingua, seno, reni, polmoni,
fegato.
Dimessa dall’ospedale, i medici le
danno pochi mesi di vita. «A quel punto,
abbiamo organizzato un pellegrinaggio
a Medjugorje, per chiedere alla Vergine
Maria la guarigione. Ma anche perché ci
aiutasse ad accogliere la grazia che Dio
aveva pensato per noi», racconta Enrico.
Chiara, malata terminale, dispensa sorrisi.
«In lei vedevi la certezza dell’eternità.
Non era spaventata: aveva occhi pieni
di luce, di gioia, di gratitudine verso
Dio. Era già risorta», ricorda Monica,
fra i 40 compagni di quel viaggio. «Viveva
l’attimo presente, il “qui e ora”, nulla
più», aggiunge Maura.
Tanto che, negli
ultimi tempi, Chiara pregava il marito di
non rivelarle quanto le restava da vivere.
Agli amici, a Medjugorje, Chiara dirà:
«Ho sempre considerato un privilegio
sapere in anticipo di morire, perché
potevo dire “ti voglio bene” a tutti».
E a sua madre: «Se il Signore ha scelto
questo per me, vuol dire che è meglio
così per me e per quanti mi sono intorno.
Perciò io sono contenta».
Le sue ultime parole saranno sulla
sofferenza. Enrico, facendosi coraggio,
le chiede se «quella croce è dolce». E lei,
con un filo di voce: «Sì, è davvero dolcissima
». Ma è pur sempre una «collocazione
provvisoria», felice espressione di
don Tonino Bello che Chiara, vestita da
sposa, vorrà fra le sue mani, nella tomba.
«Chiara una donna che si sposa e
genera dei figli: è la quotidianità vissuta
alla luce della fede, è la santità a portata
di mano», spiega fra Vito. E precisa:
«Chiara ha portato avanti gravidanze
difficili per un irrefrenabile impulso di
amore. Il giorno della nascita di Maria è
stato per lei un giorno felicissimo. Se invece
avesse abortito, non lo sarebbe stato
». Trasformandola in mera “paladina
antiabortista”, non se ne coglierebbe lo
spirito autentico: «Chiara, infatti, provava
grande compassione per le donne
che abortiscono». La sua è stata «l’esperienza
di una figlia di Dio che seminava
del bene». Un immenso bene che, a un
anno dalla morte di Chiara, continua a
diffondersi nel mondo.
La storia di Chiara potrebbe essere la storia di tante ragazze, ragazze di oggi, ragazze in cerca della propria strada da seguire e intraprendere per tutta la vita. - Questo è il libro che parla della sua storia