Vent’anni sono passati veloci come un treno. E Gianmaria Testa di treni un po’ se ne intende. Il cantautore piemontese - è nato a Cavallermaggiore, in provincia di Cuneo - ha alle spalle venticinque anni di servizio nelle Ferrovie dello Stato: il viaggio ce l’ha nel suo Dna. Per questo nuovo disco ha scelto di viaggiare sul doppio binario del dubbio e della speranza. Sono il filo rosso che lega le canzoni di questo live: il racconto di un ventennio in cui l’aria è diventata un po’ viziata per via dell’indifferenza, dell’intolleranza, della sordità a livello individuale e collettivo. Ed allora? Man at work: è il titolo dell’album. Lavori in corso, appunto. Non è una raccolta di successi né tanto meno un disco celebrativo. Una pausa di riflessione, piuttosto, uno sguardo al recente passato per riprendere musica e parole in rotta verso il futuro.
Gianmaria, il tuo primo disco live. Perché?
"È stato registrato durante la tournée in Germania nel febbraio 2012. Sul palco con me hanno suonato Giancarlo Bianchetti alla chitarra, Nicola Negrini al basso e Philippe Garcia alla batteria. Tra di noi è nata una complicità artistica molto forte".
Hai molto lavorato sugli arrangiamenti, alcune canzoni si presentano in una veste nuova.
"Sì, è vero. Durante i concerti non avevamo una scaletta ben precisa e ci sentivamo liberi di suonare senza schemi precisi. Questo discorso vale anche per gli arrangiamenti: suonare insieme, viverci come una band ci ha permesso di spaziare verso sonorità blues e rock".
È giusto definire ‘Men at work’ un disco arrabbiato?
"La rabbia è un sentimento importante se veicolato positivamente. In questo disco si parla di temi come la disoccupazione o il razzismo: è impossibile non essere arrabbiati".
Qual è stato il criterio di scelta delle canzoni?
"È un album molto immediato, quindi, l’unico criterio è la voglia di musica. Ho tenuto a riproporre alcune canzoni tratte da produzioni ormai fuori catalogo come Montgolfières’ ‘Altre latitiduni’ o ‘Extra Muros.’ Penso sia una buona occasione per riascoltarle".
Un doppio Cd live, ma anche un dvd con il concerto che hai tenuto a luglio alle Officine Grandi Riparazioni di Torino.
"Le Ogr sono un pezzo di storia dell’industria e del lavoro operaio. E poi lì si costruivano treni: insomma mi sono sentito a casa mia".
Nel disco c’è un ritratto femminile molto delicato e drammatico: “Lele”.
"L’ho scritta a diciotto anni, narra di un fatto di cronaca: una donna sconfitta dalla vita che decide di suicidarsi. È una canzone molto attuale: nei periodi difficili, le donne e i bambini sono quelli che pagano il prezzo più alto".
C’è anche la cover di “Hotel Supramonte”, scritta De André con Massimo Bubola.
"Viviamo tempi in cui imperversano la superficialità e il semplicismo. Mi manca Fabrizio, mi manca la sua ostinazione a guardare dentro la realtà. Per questo ho sentito il bisogno di rendergli omaggio".
Un’ultima domanda. Nel testo di presentazione all’interno dell’album osservi: “Ognuno porta dentro di sé la sua barriera”. Come si può reagire?
"È una riflessione che mi ha accompagnato durante il tour. Le dogane in Europa sono stata smantellate, le barriere - quelle sociali, culturali e anche personali - permangono. Tocca, quindi, a ciascuno di noi nella propria vita quotidiana combattere le chiusure. È un lavoro che presuppone tempo e fatica. Tutti noi, in fondo, dobbiamo essere ‘men at work’. Non possiamo fermarci".
Il cantautore ha pubblicato anche
Ventimila Leghe (in fondo al mare), il suo secondo libro per bambini, una storia semplice e piena di rimandi, una canzone come una ninna nanna, i cui tragici echi sono purtroppo attualissimi. Un gruppo di bambini sul molo, il cantastorie comincia a raccontare del giorno in cui i mari vollero separarsi: "Niente più scambi di acque e di pesci/ niente più giri del mondo in veliero / tutti i canali rimasero chiusi / a qualunque passaggio di flutto straniero…". E così pian piano cominciarono a comparire fossati tra il Tirreno e il Mar di Sardegna, tra l’Adriatico e lo Jonio. Ma non era finita, perché addirittura l’idrogeno pretese di contare più dell’ossigeno e fu così che scomparve anche l’acqua e si creò un immenso deserto.
Ma per fortuna era solo una leggenda, concluderà il cantastorie, indicando ai bambini il bel mare azzurro di fronte a loro. Una ballata profonda quanto gli abissi, per spiegare ai più piccoli che cos’è l’egoismo e a cosa porta la mancanza di unità, di spirito di gruppo, di solidarietà. Una storia amara e divertente, in cui addentrarsi attraverso la voce e il testo del cantautore cuneese e gli intensi disegni di Marco Lorenzetti.