A 83 anni Gianni Letta è diventato più loquace. L’uomo che non ha mai dato interviste e che non usa i social, solitamente lontano dai riflettori e dai microfoni, negli ultimi tempi fa sentire la sua voce. Sempre con lo stile felpato del grand commis d’Etat, senza abbassarsi alle polemiche politiche di giornata, volando alto. Magari parlando del genio di Gioachino Rossini (come ha fatto di recente in una intervista a Rainews, nella veste di presidente della Fondazione Rossini) per contrapporlo all’Italia malandata di oggi.
Al Meeting di Rimini Gianni Letta sceglie di accomodarsi su una poltroncina bianca nel MeshAREA TALK di Intesa Sanpaolo e, stimolato dalle domande di Emmanuele Forlani (consigliere della Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli), racconta per un’ora “Una vita di lavoro” (era questo il titolo dell’evento).
Sempre impeccabile (camicia bianca con gemelli ai polsi, abito scuro, cravatta), sempre più somigliante al celebre anchorman Dan Rather, Letta patisce un po’ il caldo e si asciuga spesso il sudore con un fazzoletto. Il racconto della sua vita di lavoro parte dall’infanzia ad Avezzano, secondo di otto figli. “La famiglia numerosa ti abitua alla responsabilità, alla solidarietà, al lavoro di squadra”. “Volevo e dovevo fare l’avvocato, negli anni del liceo andavo in uno studio legale, dove in pratica facevo il dattilografo. Ma avevo anche la passione per il giornalismo e il mio professore di liceo, che scriveva corrispondenze per Il Messaggero, mi chiese di occuparmi di sport, un argomento che a lui non interessava”.
Letta racconta anche del suo lavoro in fabbrica, uno zuccherificio, dove per quattro anni lavora come stagionale. “Cominciavo il turno alle 18 e uscivo dalla fabbrica alle 6 del mattino”.
Poi Letta si dedica totalmente al giornalismo, sempre dal suo Abruzzo, con corrispondenze per Il Messaggero, Il Tempo, l’ANSA e la RAI. “Fare il giornalista in provincia”, racconta, “è una grande scuola perché tutti si conoscono e ti conoscono, e magari c’è chi conosce meglio di te i fatti di cui scrivi, perciò il controllo dell’opinione pubblica è immediato e costante”.
Arrivato a Roma, Letta comincia la sua carriera a Il Tempo, diretto da Renato Angiolillo. “Ero capo redattore e un giorno Angiolillo scelse di nominarmi anche direttore amministrativo. Non capivo nulla di amministrazione, ma feci bene e sei mesi dopo divenni amministratore dell’editrice e della stampatrice. Poi Angiolillo si ammalò è mi offrì la direzione del giornale. Accettai considerandolo un incarico provvisorio, ma poi sono rimasto direttore e amministratore per 15 anni. Non potendo litigare con me stesso (come a volte capita fra editore e direttore), ho fatto il giornale che volevo”.
In seguito Letta comincia a lavorare come manager e giornalista in Fininvest, diventando uno degli uomini di fiducia di Silvio Berlusconi. Arriviamo al 1994, alla “discesa in campo” di Berlusconi in politica. “Io e Fedele Confalonieri eravamo contrari a quella sua scelta e lo lasciammo correre da solo. Quando vinse le elezioni Silvio mi disse: tu che conosci tutti ora devi venire a Roma a darmi una mano. Dissi di sì”.
Qui Letta racconta un retroscena: “Silvio aveva vinto, ma non era ancora chiaro se il Presidente Oscar Luigi Scalfaro, che non amava e non ha mai amato Berlusconi, gli avrebbe dato l’incarico. Così organizzai un incontro segreto fra Scalfaro e Berlusconi. Scalfaro gli disse che, in quanto vincitore delle elezioni, avrebbe avuto l’incarico per formare il Governo. Però, indicandomi, aggiunse: ma lei non deve andare a Palazzo Chigi senza questo signore qui. Berlusconi ripose: guardi che non ho mai pensato di andarci senza Letta”.
Così Gianni Letta per tre volte sarà Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio.”Ho detto a Berlusconi che sarei stato al suo fianco ma solo con un ruolo istituzionale, senza schierarmi. Perciò ho sempre detto di no quando Berlusconi voleva farmi ministro o vicepresidente del Consiglio”.
Letta spiega il suo stile di lavoro: “Ho dialogato con tutti, senza pregiudizi, partigianeria, faziosità. Posso essere utile dove si sciolgono nodi e questo mi è servito per mantenere buoni rapporti con tutti”. Questo è vero. Se ne sono resi conto i giornalisti de il Manifesto durante le settimane del rapimento in Iraq della giornalista Giuliana Sgrena, nel 2005. La vicenda fu gestita direttamente da Gianni Letta nel suo ruolo di Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. “Ma quanto sgobba Letta” si stupiva quasi ogni giorno Valentino Parlato, fra i padri fondatori del quotidiano comunista.
Ovvio che lo stile Letta sia agli antipodi di quello esibito dagli esponenti del governo attuale. Letta non fa nomi, ma fa capire benissimo come la pensa quando scandisce che “l’atteggiarsi di chi ha responsabilità di governo deve essere consono al prestigio delle istituzioni”, quando lamenta “un linguaggio disinvolto e sconcertante”, quando stigmatizza il rancore “che sembra la cifra caratteristica del nostro tempo”.
Un ultimo messaggio lanciato da Letta, rafforzato da una citazione di Papa Ratzinger, riguarda il compito della politica: “cercare attraverso il compromesso quel punto di equilibrio che possa rappresentare il punto più alto dell’interesse generale, cioè del bene comune”. Dal pubblico in sala parte l’applauso. Alla fine Letta si presta a fare qualche foto con i suoi ammiratori, ma ogni foto è in posa e non abbiamo visto selfie. Stile Letta.