Il ministro Giannini (foto Bonaventura/Contrasto).
Ci sarà anche il ministro
dell’Istruzione all’incontro
del mondo della scuola con
papa Francesco. «Ci sarò»,
spiega Stefania Giannini,
«perché era da molti anni che
in Italia non ci si mobilitava
per la scuola, se non per protestare.
Inoltre questo Papa, con i suoi gesti
e le sue parole, ha la grande capacità
di dare speranza e fiducia».
Lucchese, 53 anni, sposata, due figli
studenti universitari, Stefania Giannini
viene dalla carriera accademica. Docente
di Glottologia e Linguistica («conosco
molto bene latino e greco, ho studiato
sanscrito e armeno, avrei voluto studiare
anche aramaico ed ebraico»), già rettore
dell’Università per stranieri di Perugia,
oggi Stefania Giannini è senatrice,
segretario di Scelta civica e ministro. Seduta
dietro la scrivania che fu di Benedetto
Croce, presenta così la sua visione
della scuola: «La vedo come quel mondo
che si affianca alla famiglia per primo
e con maggiore continuità. La scuola
deve dare agli studenti conoscenze
che, attraverso un metodo, diventino anche
competenze utili per la vita».
Ministro Giannini, questa sarà la
volta buona per rimettere finalmente
la scuola al centro della politica?
«Partire dalla scuola non è stato un
caso per il Governo Renzi. È uno slancio
coraggioso per ridare centralità ai protagonisti
del mondo della scuola, che sono
gli studenti, ma in particolare gli insegnanti.
Perciò, posso assicurare che
non mi sento un ministro con una responsabilità
accessoria, ma primaria».
La scuola italiana ha avuto molte
riforme, avremo anche una riforma
targata Giannini?
«Non è una mia ambizione e non
credo che oggi l’Italia ne abbia bisogno.
C’è bisogno, piuttosto, di attuare al meglio
quello che esiste e di semplificare,
perché in questo ministero c’è una profonda
sedimentazione burocratica, legislativa
e regolamentare».
Oggi la professione dell’insegnante
è considerata di “serie B”...
«Non è giusto. Ma, purtroppo, è una
professione che sta perdendo dignità sociale.
È una specie di ammortizzatore
sociale, un lavoro che magari ne integra
un altro, che dà sicurezza, con orari
poco gravosi, ma non offre alcuna gratificazione
personale. Girando nelle scuole
ho visto che la quasi totalità degli insegnanti
sono donne. Sia chiaro, non è
un dato negativo, ma un indicatore sociale,
però mi chiedo perché».
E che risposta si è data?
«Constato che mentre le maestre sono
quasi al cento per cento donne, nelle
università le donne sono il 47 per cento
delle ricercatrici, il 14 per cento dei docenti
ordinari, il 2-3 per cento dei rettori. Io la parità di genere la concepisco bilateralmente.
Se un mestiere è bello,
gratificante e socialmente utile deve attirare
indistintamente uomini e donne.
È evidente che nella scuola non è così».
Come intende valorizzare e gratificare
chi fa questo mestiere?
«Premiando il merito e restituendo
autorevolezza. Il merito va premiato
utilizzando precisi strumenti di valutazione
del lavoro, gratificando chi si impegna,
ovviamente garantendo un tetto
minimo a tutti. Purtroppo, oggi nella
scuola la carriera va avanti solo per vecchiaia
e lo stipendio ha una sua dignità
solo dopo 25 o 30 anni di servizio».
I soldi si troveranno?
«Se vogliamo ridare centralità alla
scuola, dobbiamo fare scelte politiche
coerenti. Va benissimo lo sblocco del
patto di stabilità, ottimo il recupero dei
fondi per l’edilizia scolastica, ma è chiaro
che servono altre risorse».
Teme lo scontro con il sindacato?
«Prima di cercare avversari, aspetto
di confrontarmi. Comunque, mi stupirei
se i sindacati volessero ostacolare
un processo che darà più soldi agli insegnanti
che lo meritano».
Il divario fra Nord e Sud è forte anche
nella scuola?
«I test di valutazione internazionale,
purtroppo, hanno rilevato un divario
notevole fra il Nord e il Sud, dove resta
diffuso il problema della dispersione
scolastica. Servono interventi più significativi
al Sud e anche nelle zone più interne
del Paese, lontane dalle città e dalle
grandi vie di comunicazione. Per queste
zone abbiamo un progetto da circa
un centinaio di milioni di euro».
Le lingue fin dalle elementari?
«Sì, esistono già programmi sperimentali,
ma ci vuole un insegnamento
diffuso. Ogni genitore dovrebbe mettere
nello zainetto dei propri figli, per il
loro ingresso nella vita adulta, la perfetta
conoscenza di una lingua straniera».
Libro di carta o e-book?
«Libro di carta ed e-book».
Come gestire il rapporto fra scuola
pubblica e paritaria?
«Vanno superate vecchie incrostazioni
ideologiche. Si tratta di scegliere
con decisione il modello europeo, cioè
la libertà di scelta educativa per le famiglie
e gli studenti. Serve un modello integrato,
dove un bene pubblico, come
l’istruzione, può essere gestito da soggetti
diversi. E lo Stato deve vigilare che
questa gestione dia risultati validi».