(nella foto: i coniugi Mariateresa Zattoni e Gilberto Gillini, consulenti familiari e autori di una seguitissima e storica rubrica sul settimanale Famiglia Cristiana)
Chissà se le numerosissime lettere che riceviamo alla “posta del cuore” siano un campione rappresentativo dei disagi, delle domande, dei bisogni, delle disperazioni che abitano oggi le famiglie italiane. Siamo ben sicuri però che Famiglia Cristiana arriva negli angoli più impensati e non sappiamo per quali vie: ci scrivono ultraottantenni e giovanissimi; donne sposate, risposate e single; coppie giovani disorientate e coppie mature con decenni di matrimonio sulle spalle, e molti nonni; credenti (la maggior parte) ma anche non credenti che cercano – talora dicono – risposte “sensate”, pur essendo ben consapevoli dell’orientamento di fede della rivista.
Ebbene, quali linee emergono da queste lettere talora brucianti e disperate, talora semplicemente “narrative” anche su aspetti buoni e sereni della vita familiare?
La prima linea che vorremmo evidenziare è quella della sessualità di coppia: uomini che si lamentano di donne distanzianti, fredde, demotivate al rapporto sessuale; donne che non si sentono amate proprio “in quei momenti” (come si espresse una sposa da trent’anni) che vorrebbero eliminare il sesso (mentre credono di essere molto “affettive”!) o che al contrario si lamentano di mariti troppo “tiepidi”.
Come leggere queste piccole/grandi disperazioni, in un’epoca di liberalizzazione sessuale? Troppo facile dare la colpa a una Chiesa che non ha ancora capito la “teologia del corpo” di un suo santo papa, Giovanni Paolo II! Il punto è che sulla sessualità – nelle chiacchiere da bar, nei mass media, nella cultura digitale – si sta diffondendo un’idea di sesso come puro-magico piacere per sé, come impulso e soddisfazione autocentrati. Ne sono vittime gli uomini che magari si aspettano una "moglie-porno" e le donne che non si credono “all’altezza” di un piacere spontaneo, autocelebrativo. Siamo consapevoli ancora troppo poco che il rapporto sessuale è appunto un rapporto, cioè si dà nella relazione!
C’è un secondo nodo che emerge nelle lettere che riceviamo: ed è la difficoltà a reggere le “differenze” come “bene di famiglia”; e non solo – come appare ovvio – la differenza originaria del maschile e del femminile, la differenza di stili educativi, la differenza tra nuova famiglia e famiglia di origine, ma soprattutto la differenza genitori-figli, quella che sembrerebbe più ovvia, dove non vale almeno la… differenza di numero di scarpe (come diciamo spesso in metafora).
Figli sognati, visti, perfino educati come partner ideali, come “tappabuchi” per le proprie delusioni affettive, figli ridotti a “utenti”, cui si devono molti servizi, che si trattengono rendendo loro tutto possibile; e sono poi figli-prigionieri, non “lasciati andare”, iperprotetti, dove l’iperprotezione suona scarsa fiducia nelle loro (dei figli!) risorse.
E così ci scrivono genitori del “dove abbiamo sbagliato?” o figli – perfino quarantenni – che si sentono in colpa se “lasciano" la mamma e il papà… da soli!
Da ultimo non nascondiamo di ricevere lettere che narrano gratitudine, stupore o semplicemente serenità. Confessiamo che talora le trascuriamo perché ci sembra più urgente rispondere ai gridi di aiuto che ci arrivano, pur sapendo che non ci può essere una forma di terapia o di consulenza senza il contatto diretto tra chi chiede e chi offre aiuto.