In un mondo in cui il linguaggio dell’odio trova spazio in Rete, quando si azionano i polpastrelli prima di aver acceso l’interruttore della razionalità, senza che nessuno metta un argine di educazione, la lezione di civiltà vissuta ci viene dall’unico cui nessuno, non oggi, oserebbe rimproverare un moto di rabbia, un accesso di intemperanza: dal signor Gino Cecchettin, un padre che ha perso una figlia in un modo di cui è difficile darsi ragione, che dall’altare, mentre le rivolgeva l’ultimo saluto, ha rivolto al mondo un messaggio pacato: in cui c’erano le parole “scusa” e “grazie”, assai poco frequentate di questi tempi, rivolte a chi gli ha dimostrato affetto, aiuto, vicinanza, anche sconosciuti, cui non è riuscito a rispondere. Parole di scusa e di ringraziamento, da parte di chi del tutto legittimamente, ripiegato su sé stesso, le scuse avrebbe tutte le ragioni di pretenderle soltanto e neanche basterebbero di fronte all’enormità del dolore che deve provare.
Parole con cui si è rivolto agli uomini, dicendo “noi”, non “voi”; ai padri, dicendo “noi”, chiedendo di lavorare dal basso nella quotidianità perché nessuno più si trovi nell’abisso in cui da padre ora si trova: un padre orfano di una figlia, per mano di un giovane uomo che diceva di amarla.
In un tempo in cui la politica è spesso rissa pubblica, da pollaio, ha chiesto pacatamente alle istituzioni di mettere da parte le divisioni ideologiche per sminare il terreno culturale che rende possibile che accada quanto sta accadendo alla sua famiglia. «Perché da questo tipo di violenza che è solo apparentemente personale e insensata si esce soltanto sentendoci tutti coinvolti. Anche quando sarebbe facile sentirsi assolti».
In un momento in cui i media hanno spiato senza riguardo il suo dolore con inquadrature sfacciate, ha chiesto uno sguardo meno morboso, ma lo ha chiesto civilmente, con un’antica cortesia: mai che si sappia ha avuto la tentazione di mandare a quel Paese chi in questo tempo di dramma personale e familiare ha sostato davanti alla sua casa per rapirgli anche solo un sospiro. Se quella tentazione l’ha avuta, ha saputo nasconderla dietro una signorilità impeccabile.
Se esiste da qualche parte una lezione civile in questo dramma umano e sociale apparentemente senza senso alcuno, è dentro le parole di quest’uomo perbene, per i loro contenuti, sì, ma anche per la loro forma: vengono da una persona che ha certo dentro una guerra che neanche possiamo immaginare ma emanano pace, seminano speranza.
Ci scusi Lei, signor Cecchettin, per non aver saputo - come persone, come società, come mondo – essere come Lei è, anche ora nel momento più difficile della sua vita, e di non aver saputo far crescere per tempo una civiltà diversa. E grazie di essere così, ancora, nonostante tutto.