Gioacchino Lanza Tomasi (1934-2023) con l'autore del "Gattopardo" e padre adottivo Giuseppe Tomasi di Lampedusa (1896-1957)
Uno degli artefici del successo del romanzo storico Il Gattopardo fu il professore Gioacchino Lanza Tomasi, musicologo di fama mondiale, apprezzato studioso del Teatro d’opera, protagonista della vita culturale e figlio adottivo dello scrittore Giuseppe Tomasi di Lampedusa, autore del best-seller pubblicato 65 anni fa.
Scomparso a Palermo il 10 maggio scorso all’età di 89 anni, Gioacchino Lanza Tomasi, tra l’altro, convinse la Feltrinelli a pubblicare Il Gattopardo nel 1958, fu il consulente del regista Luchino Visconti nelle riprese dell’omonimo film del 1963 e lottò strenuamente contro il cliché del “romanzo conservatore” (se non addirittura “reazionario”).
Figlio del senatore Fabrizio Lanza Branciforte Ruffo, conte di Mazzarino e di Assaro, e dell’aristocratica spagnola Conchita Ramírez Camacho, marchesa di Villa Urrutia, Gioacchino Lanza Branciforte Ramirez nacque a Roma nel 1934 e, durante la Seconda guerra mondiale, si trasferì a Palermo. D’altronde, la famiglia paterna discendeva dagli Svevi che giunsero in Sicilia quasi un millennio fa, alla corte dell’imperatore Federico II.
Nel 1957, nell’anno della sua morte, il principe siciliano Giuseppe Tomasi di Lampedusa, sposato con la principessa lettone Alexandra Wolff Stomersee, detta Licy, adottò il parente duca Gioacchino Lanza, che aggiunse il cognome Tomasi. Negli anni precedenti, la casa editrice Mondadori aveva rifiutato la pubblicazione del Gattopardo.
A quel punto, il libraio palermitano Salvatore Fausto Flaccovio inviò il manoscritto alla casa editrice Einaudi. Il direttore della collana “I Gettoni” della Einaudi era il celebre scrittore Elio Vittorini che, proprio nel 1957, scrisse personalmente a Giuseppe Tomasi di Lampedusa una lettera per spiegare i motivi della mancata pubblicazione: “libro molto serio e onesto”, “però vecchiotto, da fine Ottocento”, con “momenti di acuta analisi psicologica”, ma “non mi pare sufficientemente equilibrato nelle sue parti”. La conclusione di Vittorini fu perentoria: “Purtroppo mi trovo nell’assoluta impossibilità di prendere impegni o fare promesse, perché il programma dei ‘Gettoni’ è ormai chiuso per almeno quattro anni. Ho già in riserva, accettati per la pubblicazione, una ventina di manoscritti che potranno uscire al ritmo di non più di quattro l’anno”.
Dopo la morte dell’autore, il poeta Lucio Piccolo, cugino di Tomasi di Lampedusa, recapitò il manoscritto del Gattopardo alla Feltrinelli, che a sua volta inviò Giorgio Bassani a Palermo per incontrare il figlio adottivo Gioacchino Lanza Tomasi, il quale convinse la casa editrice fondata da Giangiacomo Feltrinelli a pubblicare il romanzo storico.
Ben presto, Il Gattopardo divenne un best-seller da milioni di copie vendute, fu tradotto in 15 lingue straniere, vinse il Premio Strega e, grazie all’azione di Gioacchino Lanza Tomasi, riuscì a far breccia anche in una parte degli intellettuali di sinistra, che erano diffidenti dopo la stroncatura da parte di Vittorini e dopo le critiche di Alberto Moravia, Leonardo Sciascia e altri celebri scrittori.
Nel 1961, poi, il direttore dell’Unità Mario Alicata, parlamentare comunista molto popolare in Sicilia, firmò la prefazione dell’edizione russa del Gattopardo, mettendo in guardia i lettori, senza esprimere una chiusura netta: «Si deve, però, avvertire i lettori che le tesi che sono alla base dei giudizi del principe Tomasi di Lampedusa - a proposito degli avvenimenti storici che rappresentano lo sfondo del suo romanzo - si distinguono dalle tesi espresse dalla letteratura e dai film progressisti. Mentre gli artisti progressisti mirano innanzitutto a sottolineare la novità rappresentata dal protagonismo delle masse italiane, contrapponendo questa novità alla inerzia delle vecchie classi dirigenti, l´autore del Gattopardo afferma che l´inerzia non è solo delle vecchie classi dirigenti ma che tutta la Sicilia "è addormentata"».
Tuttavia, il leader storico del Pci, Palmiro Togliatti, ebbe parole di elogio per Il Gattopardo, che fu sdoganato anche a sinistra con la pubblicazione di un editore apprezzato dalla sinistra antagonista - come Gian Giacomo Feltrinelli - e con la trasposizione cinematografica di un regista amato dal popolo comunista, come Luchino Visconti.
Gioacchino Lanza Tomasi, in qualità di consulente del film del 1963, convinse Visconti ad ambientare la residenza estiva del principe di Salina nel paese di Ciminna, situato nell’entroterra palermitano. Luchino Visconti, in particolare, fu affascinato dalla Chiesa Madre di Ciminna e dal paesaggio circostante. Il contributo del consulente d’eccezione fu prezioso anche in altre parti del film.
Ad esempio, per ambientare la leggendaria scena cinematografica del ballo nella cornice di Palazzo Gangi-Valguarnera di Palermo, Gioacchino Lanza Tomasi fornì al regista una serie di mobili, arazzi e suppellettili di famiglia.
Gioacchino Lanza Tomasi con la moglie
Nella sua lunga carriera culturale, Gioacchino Lanza Tomasi fu professore ordinario di Storia della Musica nell’Università di Palermo, direttore artistico del Teatro Massimo di Palermo, sovrintendente del Teatro San Carlo di Napoli, direttore dell’Istituto di Cultura italiana di New York, sovrintendente dell’INDA di Siracusa, nonché Presidente della Fondazione Tomasi di Lampedusa e del Premio Letterario intitolato al suo genitore adottivo. Nella sua vasta produzione saggistica, Gioacchino Lanza Tomasi scrisse opere su Giuseppe Verdi, su Vincenzo Bellini, su Gioacchino Rossini, sullo stesso Tomasi di Lampedusa, ma anche sul surrealismo, sulle Ville di Palermo, sui Castelli e sui Monasteri siciliani.
Gioacchino Lanza Tomasi fu anche un affermato critico musicale per alcuni giornali nazionali e locali, tra i quali il quotidiano L’Ora, dove scrisse in maniera costante fino al 1971, anno in cui si congedò dai lettori per intraprendere poi la nuova esperienza nel Teatro Massimo di Palermo. «Il congedo dai lettori e dagli amici tutti de L’Ora», scrisse il 19 luglio del 1971, «chiude una fase positiva della vita. Ho amato il giornalismo, ritengo che non vi sia tirocinio migliore per imparare a comunicare con gli uomini e con sé stessi. Al giornale ho imparato la tecnica dell’informazione, cioè l’arte di far partecipare altri uomini al mio pensiero e alle mie passioni. Gran parte di quel che so, metodologia critica ed arte dell’esposizione l’ho appresa al giornale. Non di altro vorrei vantarmi che di essere in grado di ordinare l’esperienza di saperne estrarre una opinione, di saperla comunicare. È stata la meta delle cronache musicali, apparse sull’Ora, non sempre raggiunta, perché il dono dell’analisi lucida e dell’esposizione chiara è conquista difficile. Chiedo perdono ai lettori che hanno stentato a seguirmi, il torto è mio; spero altre volte di non averli delusi… Ho cercato di fare di ogni cronaca musicale il resoconto di una esperienza del pomeriggio al concerto, della sera all’opera valeva che la pena di essere registrato».