Dare da bere agli assetati è un’opera di misericordia di cui Giobbe Covatta ha esperienza diretta nei suoi numerosi viaggi in Africa come testimonial di Amref (l’Ong attiva nel continente nella promozione della salute). «Io di pozzi ne ho fatti tanti in Africa», assicura Covatta mentre è impegnato a Milano nelle prove di un nuovo spettacolo teatrale (Matti da slegare), in cui sarà affiancato da Enzo Iacchetti. Tarantino, ma napoletano di adozione, 59 anni, Gianmaria Covatta è attore e scrittore e, da poche settimane, ricopre il ruolo di portavoce nazionale della Federazione dei Verdi. È stato testimonial anche di Save the Children.
È facile costruire un pozzo?
«Sì, non è così complicato. In Africa quando si parla di dighe e di pozzi sembra che uno abbia fatto cose enormi, in realtà spesso il pozzo è un buco per terra che scende fino a venti metri di profondità e quando si parla di dighe si tratta di ammassamenti di terra che impediscono all’acqua di disperdersi. Lo stesso quando si parla di acquedotti. Non bisogna mica pensare a quelli monumentali fatti dagli antichi romani. Ne ho visto uno in Uganda: è un tubo lungo 17 chilometri che porta l’acqua da un punto all’altro. Sono cose elementari, di base».
Eppure cose così semplici bastano a salvare tante vite e a garantire la sopravvivenza di intere comunità.
«Certo. L’acqua è la base di tutto, il primo passo della sopravvivenza. Noi qui in Occidente non ce ne rendiamo conto. Lo diamo per scontato. Andiamo nel panico e ci sembra di stare in un mare di guai solo perché magari ci mettono il cartello sull’ascensore per dirci che, causa lavori, non avremo l’acqua in casa per qualche ora. Ma in certe parti del mondo dovrebbero mettere cartelli con frasi del tipo: nei prossimi vent’anni non ci sarà l’acqua».
Spesso si dice che il problema della fame nel mondo non è tanto la mancanza di cibo quanto piuttosto una sua equa distribuzione. È così anche per l’acqua?
«Sì, partecipando alle missioni con Amref mi sono reso conto di frequente che, tante volte, il vero problema è la gestione delle risorse idriche. Ci sono alcune popolazioni che vivono sul fiume e ce l’hanno. Altre che vivono a cinquanta o a cento chilometri di distanza non ce l’hanno, e devono scavare per terra alla ricerca dell’acqua. L’ho visto in Etiopia, dove scavi e alla fine trovi della fanghiglia che somiglia vagamente all’acqua e te la bevi. La corretta gestione delle risorse idriche è fondamentale anche per far fronte ai ricorrenti periodi di siccità. La siccità è una tragedia, fa saltare equilibri già molto fragili e con i suoi effetti causa morte, epidemie, migrazioni».
La parola “rivale” richiama l’acqua perché si riferisce a chi spartisce con altri l’uso di un corso d’acqua. Avremo le guerre per l’acqua?
«Temo proprio di sì. Mi aspetto che in Africa la Cina prima o poi faccia deviare il corso del Nilo per irrigare i terreni di sua proprietà in Sudan e in altre zone vicine. A quel punto che faranno gli egiziani? Non credo che la prenderanno molto bene. Ma i problemi non sono soltanto in Africa. Negli Stati Uniti già oggi il fiume Colorado non arriva più al mare, ma si ferma prima, consumato dallo sfruttamento lungo tutto il suo percorso. Questo sarà il destino di molti altri fiumi e dove manca l’acqua avremo migrazioni e conflitti».
Quindi oggi dare da bere agli assetati non deve limitarsi alla costruzione di un pozzo, serve altro?
«Sì, bisogna organizzare un sistema sociale che sia più equo, più gestibile. Il pozzo risolve il problema di cento o mille persone, ma non quello più generale dell’accesso all’acqua. Spesso infatti quel pozzo diventa preda di mafie e ricatti. Tu fai il pozzo e subito dopo arriva un gruppetto di banditi a cavallo che ti costringe a pagare quell’acqua».
Anche in Italia ci sono problemi. Di recente persino a Messina è mancata l’acqua per alcuni giorni. Che fare?
«In Italia abbiamo un serio problema di gestione delle fonti idriche. A Napoli padre Alex Zanotelli si è battuto duramente per far rispettare il risultato del referendum fatto qualche anno fa, mentre la Regione ha deciso di privatizzare non solo il sistema idrico ma anche le fonti dell’acqua. A questo problema si aggiunge il cambiamento climatico. Alterniamo periodi di alluvioni ad altri di siccità. Ormai non si capisce più nulla».
Giobbe, quindi anche nel nuovo ruolo di portavoce dei Verdi continuerà le battaglie per l’acqua?
«Certo. Dare da bere agli assetati è un imperativo assoluto, anche per chi non crede. Quello che faccio non lo faccio certo per garantirmi il Paradiso, ma perché mi sembra giusto e politicamente corretto farlo. Soprattutto pensando al futuro del pianeta e a quello dei nostri figli, perché un domani non debbano ritrovarsi vittime di una guerra per l’acqua».