Proteste di piazza, scontri, arresti, giornate di sciopero generale, un primo ministro che si dimette e un nuovo premier che prende il suo posto. Accade tutto nel giro di una settimana nella piccola Giordania, paese mediorientale con meno di 7 milioni di abitanti ma con in ruolo di cuscinetto in mezzo a turbolenti vicini come Siria, Israele, Iraq e Arabia Saudita.
Dopo giorni di proteste contro il carovita e le politiche di austerità lunedì si è dimesso il primo ministro Hani al-Mulki. Il giorno dopo il re Abdallah II ha nominato un nuovo premier, Omar al-Razzaz, ministro dell’istruzione nel precedente governo. Razzaz, esperto economista con un passato di incarichi alla Banca Mondiale, sembra avere le carte in regola per intervenire sulle ragioni del malessere dei giordani.
La popolazione è stanca di sacrifici e di una situazione economica sempre più difficile. I punti deboli dell’economia della Giordania (un paese privo di risorse petrolifere e di gas naturale) sono il pesante deficit (che tocca il 96 per cento del PIL), il calo degli investimenti stranieri e il calo degli aiuti internazionali, il costo della vita (Amman è una delle città più care del mondo), la disoccupazione (il tasso ufficiale è del 18,5 per cento, ma fra i giovani è molto più alta). Nel 2016 la Giordania aveva ottenuto dal Fondo Monetario Internazionale una linea di credito triennale del valore di 723 milioni di dollari, ma in cambio il FMI aver chiesto politiche di austerità e interventi sul sistema fiscale.
L’aumento delle tasse, della benzina (+5,5 per cento), dell’elettricità (+19 per cento) e delle tasse scolastiche hanno fatto scattare la protesta, che ha portato la gente in strada ad Amman, Irbid, Ramtha, Zarqa e Salt. Hanno protestato soprattutto i giovani (riuniti nel movimento Hirak Shababi), i sindacati, associazioni di categoria e gli appartenenti alla classe media.
“Io e mio marito abbiamo un lavoro a tempo pieno e facciamo fatica per tirare avanti. Noi siamo della classe media, mi immagino la fatica di chi è povero”, ha raccontato ad Al Jazeera Rand Sawalha, ingegnere ad Amman. “Vogliamo un futuro migliore e non lasceremo soffrire i nostri figli sotto il peso del debito crescente ammassato dai corrotti che hanno distrutto la nostra economia”, aggiunge la donna.
Sul malessere economico e sociale della Giordania pesa anche l’invasione delle centinaia di migliaia di rifugiati siriani che, dal 2011, sono fuggiti dalla guerra civile. Re Abdallah II, 56 anni, sul trono della dinastia hashemita dal 1999, ha spiegato: “Il mondo non ha rispettato le promesse e l’aiuto internazionale alla Giordania è crollato nonostante il peso dell’accoglienza per i rifugiati siriani. La Giordania sta affrontando imprevisti cambiamenti economici e regionali. Nessun piano avrebbe potuto mitigare queste sfide in modo rapido ed efficace”.
Il Re ha chiesto al governo di rivedere il sistema fiscale e di avviare un dialogo nazionale con i sindacati e le organizzazioni della società civile. Ma le piazze della Giordania restano inquiete.