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giovedì 03 ottobre 2024
 
cinema
 

«Lubo,il mio eroe padre»

15/11/2023  Giorgio Diritti presenta il personaggio del suo ultimo, vibrante film. Un soldato appartenente all'etnia degli "jenisch" che va all'ostinata ricerca dei figli sottratti, un autentico inno alla famiglia

Tra le popolazioni nomadi d’Europa ci sono gli jenisch. Sono il gruppo più grande subito dopo i rom e i sinti. Furono duramente perseguitati seguendo i principi dettati dall’eugenetica, specialmente in Svizzera. Tra i due conflitti mondiali, la fondazione Pro Juventute diede vita a un programma che sarebbe rimasto attivo fino agli anni Settanta. Era l’Opera di assistenza per i bambini di strada. I più piccoli venivano sottratti ai genitori, riallocati, “educati”. I danni sono stati enormi, senza contare le sterilizzazioni e i divieti di sposarsi. Da qui nasce il romanzo Il seminatore di Mario Cavatore, da cui è tratto Lubo di Giorgio Diritti. Il film è stato presentato in concorso all’ultima edizione della Mostra del cinema di Venezia. Nel cast brillano tra gli altri Franz Rogowski e Valentina Bellè. Il protagonista è Lubo Moser, siamo nell’inverno del 1939. È uno jenisch, lo costringono ad arruolarsi per fronteggiare un’eventuale invasione: deve difendere il confine. Gli vengono portati via i figli, ma lui non smette mai di cercarli, al disperato inseguimento di una paternità distrutta, da ricostruire. Ormai vedovo, inizia un percorso di colpa e redenzione con sullo sfondo una delle pagine più buie che hanno caratterizzato il Novecento. Il regista Giorgio Diritti si è sempre soffermato sugli oppressi, sulla natura delle comunità più circoscritte, fin dall’esordio con Il vento fa il suo giro. Lubo rappresenta un punto di arrivo nella sua poetica ed è anche il suo progetto più ambizioso.

È un’epopea fluviale, in costume, di indubbio fascino. «Anni fa un’amica mi ha parlato di un libro, Il seminatore», spiega il regista. «Ero nelle valli occitane vicino a Cuneo. Poi ho incontrato l’autore e ho scoperto la vicenda relativa agli jenisch. Il vero tema è stato capire come raccontare quella storia, prendendo spunto dal romanzo. Ho scelto di seguire il percorso di un uomo che ha perso tutto, un padre a cui è stata stravolta la vita. La sua missione diventa quella di ritrovare i figli e dare un nuovo significato alla sua esistenza, intrisa di solitudine, di pensieri di vendetta. Ho conosciuto molti jenisch che sono stati vittime di questa tragedia, alcuni li ho coinvolti in piccoli ruoli nel film. Gli hanno rubato ogni cosa, con una violenza lucida e discriminatoria: è sconvolgente. Ci si domanda il perché capitino certe cose, perché si arrivi a produrre una tale brutalità. È difficile darsi delle risposte, forse possono arrivare solo dall’alto», spiega Diritti.

Che cos’è per lei la famiglia?
«Il tempio della vita, il cuore della società. Alcune volte purtroppo diventa la prigione del sentimento, delle relazioni. Può essere preziosa, fondamentale, ma anche trasformarsi in una complessa coesione di sofferenze che si espandono anche verso le nuove generazioni».
Che cosa significa essere genitore?
«Prendersi una responsabilità molto grande, abbracciare uno splendido percorso d’amore in cui è fondamentale esprimere emozioni autentiche».
Il film ha dei risvolti anche spirituali?
«C’è una volontà di interrompere la catena del male. La scelta di Lubo lo porta a sacrificare qualcosa di sé per il bene dei figli, per il desiderio di giustizia per la sua gente. È qualcosa di vicino ai valori cristiani. Sono cresciuto in una famiglia cattolica, con la religione ho un rapporto travagliato. Da bambino ho frequentato un oratorio dove la solidarietà era molto forte, questo mi ha portato naturalmente a scegliere, anni dopo, di essere un obiettore di coscienza. Ho lavorato con la Caritas per aprire un centro dedicato ai bambini in difficoltà. Sono credente, un po’ a modo mio. Avere fede penso sia una delle scommesse più importanti e difficili che facciamo».
Che cos’è per lei la preghiera?
«Un momento con noi stessi, nella ricerca di aiuto oltre il limite dell’uomo. Mi ha guidato il senso dell’amare gli altri come sé stessi. È prezioso cogliere il bene che abita in chi ci circonda e cercare di espanderlo, ricordandoci che da soli non possiamo sempre farcela».
Lubo interroga anche sulla guerra?
«Certo. Sia quelle del passato che quelle di oggi fanno tutte schifo. Il conflitto è il grande limite dell’uomo. Leggere Gandhi è un buon percorso per seminare un desiderio di pace. Vorrei che il dialogo tra le religioni aiutasse a evitarle. Alle nuove generazioni andrebbe insegnata la fratellanza, non il contrario. La storia si ripete, basta guardare quello che sta capitando tra Russia e Ucraina. Gli interessi legati al potere non dovrebbero mai essere messi davanti alla dignità umana». 

 
 
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