La casula che papa Francesco indosserà in occasione della Giornata Mondiale dei Poveri di domenica prossima, 13 novembre, arriva dalle mani dei detenuti del carcere di Secondigliano a Napoli. Quelle mani che hanno commesso reati, che hanno sbagliato, e che spesso hanno toccato la povertà non solo materialmente ma anche spiritualmente, hanno confezionato il paramento liturgico su cui è stato cucito il gallone mariano. Così hanno voluto esprimere il carisma dell’attività del laboratorio sartoriale “RicuciAMO la vita”, «perché - spiega il cappellano don Giovanni Russo – riprendendo le parole del Papa da Maria, madre della speranza, possa sempre sostenere i nostri passi e possa sempre dire al nostro cuore: ‘Alzati! Guarda avanti, guarda l’orizzonte’».
Una delegazione di detenuti, guidata dall’Ispettore Generale dei cappellani don Raffaele Grimaldi, dalla direttrice Giulia Russo, dal cappellano don Giovanni Russo, è stata ricevuta in udienza privata, dal Papa in Vaticano. E in quei minuti che chi ha ricevuto una seconda possibilità ha raccontato a Francesco come è nata quella casula frutto del progetto “Albus Sacer”, ovvero il laboratorio di sartoria sorto all’interno del carcere e sostenuto dall’amministrazione penitenziaria, che ha fornito di macchine da cucire, materiali e ogni altra attrezzatura i detenuti.
Non solo riscatto e recupero sociale ma i paramenti liturgici, realizzati con estrema cura e i dettagli nelle finiture sono il risultato di un percorso di formazione finalizzato, prima che alla specializzazione sartoriale, ad un avvicinamento al culto del sacro. E così per spiegare questo percorso don Giovanni Russo prende in prestito le parole di don Tonino Bello: «I nostri fratelli potranno passare dal ‘culto della sacralità a quello della santità’ ed esserne testimoni dentro e fuori il carcere». Il laboratorio di sartoria vuole dare la base per creare opportunità lavorative fuori dal carcere (la speranza è un secondo laboratorio esterno al carcere) e in alcuni casi, potrebbe mettere un punto a situazioni in cui, troppo spesso, la via della delinquenza è rimasta quella più facile.
Ed è l’ultimo rapporto Caritas a fotografare l’emergenza povertà che ormai si tramanda da padre in figlio. L’hanno definita ‘povertà intergenerazionale’, un dato che emerge dopo aver accertato che nessuno, tra le 8.666 persone e le 27 mila famiglie che si sono rivolte alla Caritas, ha avuto un miglioramento delle sue condizioni. Ed è lo stesso referente della Caritas campana, don Carmine Schiavone, a spiegare che il 70 percento delle persone che ‘bussano’ alle porte delle chiese è di origini campane, mentre i migranti rappresentano circa il 25 percento. E le prospettive di una ripresa sembrano quasi un’utopia. Basti pensare che nello stesso dossier Caritas presentato a Napoli si legge un dato sempre più in crescita di giovani campani che scelgono di abbandonare la propria terra, soprattutto le aree interne, per trasferirsi nelle grandi città del Nord dove è più facile trovare lavoro.