«Non è facile a 24 anni anni perdere tutti e quattro gli arti. Eppure mi ritengo fortunato. E felice. Mi sento un sopravvissuto. E sono rinato grazie allo sport, perché mi ha dato una ferrea disciplina per affrontare la riabilitazione e non rinunciare alla vita di prima. Gli psicologi mi presero quasi per pazzo. Trovavano innaturale tanto ottimismo. Io volevo dimostrare che dopo l’amputazione di gambe e braccia sarei potuto tornare autonomo».
La vita di Davide Morana, classe 1998, palermitano d’origine, è cambiata in una notte di gennaio del 2018 a Murcia, in Spagna, dove viveva e lavorava dopo essersi trasferito tre anni prima con la compagna, una spagnola conosciuta durante il suo Erasmus a Palermo. «Iniziai a sentirmi molto male», racconta, «non riuscivo a capire quello che mi stava succedendo. Vomitavo, avevo fortissimi dolori alla testa mentre il corpo era invaso da macchie di color porpora».
La diagnosi è impietosa: meningite di tipo C. «Ha avuto uno sviluppo rapidissimo nel mio corpo, il batterio avanzava impetuoso provocando macchie estese sulla pelle che, scoprii dopo, erano il segno che la malattia era passata al sangue iniziando a invadere e avvelenare il corpo. Dopo la prima notte mi stavo lasciando andare. Dopo sette giorni dal coma mi risvegliai con una visione truculenta del mio corpo, le estremità, gambe e piedi, erano totalmente nere, Cioè, da amputare». Eppure, Davide non si lascia andare, non si dà per vinto. Non è morto, ed è già un buon motivo per non abbattersi e andare avanti. «La meningite avrebbe potuto uccidermi o ridurmi a uno stato vegetativo», spiega, «invece grazie all’aiuto dei medici, della mia compagna e della mia famiglia sono riuscito ad affrontare la situazione. Mi sono sentito fortunato perché essere curati in Europa, con una sanità eccellente come la nostra, non è scontato e non è un privilegio che hanno tutti».
Come Bebe Vio (con la quale sono amici). Come Alex Zanardi. Come tanti altri. Davide Morana sta costringendo lo sport a non scartare i corpi amputati, dimezzati, zoppi a causa della malattia. Non perché fanno pena, ma perché anche così valgono. Anzi, valgono di più.
Ora è un atleta che pratica sport a livello agonistico e anche influencer. Utilizza i social per sensibilizzare, attraverso la sua storia, le persone sulla meningite, la prevenzione attraverso i vaccini e sostenere la causa per implementare e migliorare la produzione di protesi.
Da anni fa parte del team di Sanofi che in occasione della Giornata Mondiale della Meningite (che si celebra il 5 ottobre), in collaborazione con Fondazione per la Ricerca sulla Meningite (MRF) e la Confederazione delle Organizzazioni per la Meningite (CoMO), ha lanciato la Bandiera della Lotta alla Meningite, un simbolo di unione e speranza che associazioni, pazienti, clinici potranno utilizzare nelle attività volte a diffondere la conoscenza della malattia. A realizzarla è stata la designer Laura Spring e sono stati coinvolti, oltre a Morana, anche due atleti paralimpici affetti da meningite: Ellie Challis e Théo Curin, entrambi nuotatori.
«La Bandiera della lotta alla meningite», spiega, «dà un volto e una voce ai pazienti e ai sopravvissuti a questa malattia, a chi dopo esserne stato colpito non si è arreso e ha ricominciato a vivere daccapo. Nell'associazione spagnola siamo più di 50 sopravvissuti e aumentano giorno per giorno. Ed è anche il simbolo dell’impegno di Sanofi a sconfiggere questa terribile malattia nel più breve tempo possibile attraverso la vaccinazione».
Prima della meningite, Morana studiava Agraria, andava in bicicletta, faceva atletica e triathlon. «La mattina studiavo, poi facevo tutti i giorni due ore di sport e il pomeriggio lavoravo», racconta, «dopo la malattia non volevo rinunciare allo sport agonistico. Mi sono detto: cosa c’è di meglio della corsa? Mio nonno era maratoneta, mia madre pure, l'atletica è sempre stata una passione di famiglia. Ho voluto tornare a correre, anche se ho quattro protesi. Lo sport è stato un grande esercizio di disciplina e mi ha ridato la cosa più importante: l'autonomia. Adesso vado a fare la spesa, cucino, gestisco la casa, il lavoro e gli allenamenti. Mi sono ripreso la vita che ho rischiato di perdere quella notte di cinque anni fa».
Ha un sogno, Davide. Si chiama Parigi 2024, i Giochi Olimpici. «Spero di poter correre i 60 metri indoor il prossimo gennaio, poi farò 100 metri e 400 metri nella stagione outdoor», dice da Bergamo dove si sta allenando per cercare di qualificarsi alle Olimpiadi, «partecipare sarebbe il coronamento di un sogno».
Intanto, continua a dare una testimonianza importantissima: «La disabilità fino a un decennio fa era considerata come qualcosa da nascondere, uno stigma, una tragedia e invece io penso che nella disabilità c'è una seconda opportunità», dice, «continuiamo ad essere persone attive che apportano tanto alla società. Non siamo una persona in meno ma una in più. La meningite è tremenda, ancora sconosciuta in molti ambiti. Va prevenuta e l’unico modo per farlo è vaccinarsi. Io non lo ero e per questo la malattia mi ha colpito in maniera così terribile». È il suo rimpianto. L'unico.