Parla di muri e barriere questa Giornata mondiale del rifugiato 2019. Ed è paradossale ricordare che mentre si celebrano i 30 anni dalla caduta del muro di Berlino, l’Europa è attraversata da quasi mille chilometro di muri e filo spinato, che segnano confini interni ed esterni. «In seguito a quella caduta avevamo sognato l’unità nella diversità e invece oggi vediamo ritornare sempre più perentoria la necessità di difendere i propri confini e la propria identità minacciati»: così padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, il servizio dei gesuiti per i rifugiati, ha introdotto, il 17 giugno, presso l’Università Gregoriana, il dialogo tra Luciano Manicardi, priore della Comunità di Bose, Massimo Cacciari, filosofo, e Marco Damilano, direttore de L’Espresso, nel colloquio sulle migrazioni “Rifugiati: ai confini dell’umanità”. Una delle tante iniziative che si sono tenute a Roma in preparazione alla Giornata del 20 giugno.
L'Europa del Muro di Berlino e i padri fondatori della "democrazia progressiva"
«Non si conosce il numero esatto delle persone morte mentre cercavano di raggiungere Berlino ovest attraversando il muro, forse alcune centinaia”, dice Ripamonti. «Si stima invece siano più di 30mila le persone che dal 1990 hanno perso vita cercando di raggiungere l’Europa via mare o via terra…il costo umano delle barriere in un’Unione Europea nata per abbatterle è decisamente inaccettabile».
Un’Europa che dopo il 1989 ha avuto «classi politiche che hanno pensato fosse tutto scontato». E invece quella storia nuova che sembrava fosse cominciata una volta per tutta, oggi guarda indietro, e fa i conti «con masse senza diritti e senza nome», dice Marco Damilano, perché la lotta per «allargare le frontiere della democrazia è minacciata propria se viene data per scontata». Un’Europa che ha smarrita l’idea di «democrazia progressiva voluta dai padri fondatori», che non è più «leone affamato, come la descriveva Hegel» ma è irrimediabilmente «vecchia e impaurita», dice Massimo Cacciari. E suo malgrado, «è destinata ad accogliere perché altrimenti scomparirà: sarà un processo lungo e probabilmente tragico, a meno che non si formi una classe dirigente, un élite qualificata, che comprende la necessità storica economica e sociale di accogliere e integrare». L’unica politica europea possibile per salvare il vecchio continente è «una politica mediterranea, cioè attenta alle domande dell’altra sponda», e capace di relazionarsi alla grande questione del prossimo secolo, vale a dire «l’Africa, con le sue enormi risorse» a livello di ricchezze e di giovani. «Le grandi culture che hanno fondato l’Europa», sostiene il filosofo, quella liberale, socialista, cristiana, «sono riuscite a sopravvivere ma devono fare una nuova narrazione sull’Europa al centro del Mediterraneo e in rapporto all’Africa», «una nuova intesa culturale e antropologica», tenendo presente che le idee fondative dei padri fondatore erano «solidarietà e sussidiarietà» «non stabilità».
Luciano Manicardi, priore di Bose, e il "codice dei diritti del migrante" nella Bibbia
Anche alla luce dei testi giudaico-cristiani, andando alle radici della spiritualità e prassi del primo testamento, è possibile capire qualcosa dell’oggi. Le leggi dell’Antico Testamento elaborano un “codice dei diritti del migrante”, nel quale «c’è prima di tutto una “cultura della memoria”, «“Non opprimere perché anche voi siete stati stranieri”, il Dio biblico si rivela agli Ebrei quando sono stranieri in Egitto», ricorda il priore di Bose, Luciano Manicardi. Nell’immigrato, aggiunge, il figlio di Israele vede l’immagine di sé, «lo straniero ti permette di vedere te stesso facendo di te uno straniero, e dandoti quindi una possibilità di rivelazione». Infine nelle leggi antiche si invocano misure concrete di integrazione, economiche sociali religiose, come per esempio l’estensione del riposo sabatico o il pagamento del giusto salario, “una sola legge per voi e per lo straniero residente”, si dice nel Levitico.
Per un cristiano rileggere queste cose in un tempo in cui la cultura «dell’immediato rischia di ridurre il Cristianesimo a sentinella dell’istante», significa ripartire dall’umanità di Gesù di Nazareth, dice Manicardi. «Al cuore del messaggio cristiano», spiega il priore di Bose, «non c’è qualcosa di religioso, ma di umano, la persona concreta con una storia, un volto e la sua sofferenza». Dalla narrazione evangelica cogliamo quindi che il «farsi prossimo è prima di tutto un’azione su di sé» e lo straniero diventa un appello a guardarsi dentro, a scegliere se voltare o meno la testa dall’altro lato.
«Celebrare la Giornata mondiale del Rifugiato per noi quest’anno significa soprattutto rendere omaggio alla ricchezza umana e alla complessità, significa saper guardare oltre quei muri, oltre il confine, mettendosi nei panni di chi il muro desidera attraversalo mantenendo la propria dignità umana», conclude Ripamonti. «Vogliamo ritrovare nelle nostre comunità lo spazio dell’ascolto e dell’accoglienza, fondamento di una casa comune in cui la diversità di ciascuno sia una risorsa per tutti».
(Immagine in alto dal reportage per l'iniziativa Storie Invisibili, foto di Andrea Tomasetto)