È proprio vero: l’amore dà sempre vita. Anche se oggi ci riempiamo la bocca di questa parola un po’ a sproposito. Solo l’amore, quello con la “A” maiuscola, quello che «tutto copre, tutto crede, tutto spera,tutto sopporta», riesce a dare una risposta di senso alle nostre esistenze. Alla novità di un figlio inatteso, al dolore di un malato stanco di vivere. Nel tempo in cui viviamo, dove è più facile trovare scorciatoie che non spaccarsi la schiena per farsi carico degli ultimi, la parola amore deve riscoprire il suo significato autentico, più profondo. E lo può fare solamente se le nostre comunità sapranno – come dicono i vescovi – riscoprirsi “samaritane”.
Il samaritano, infatti, non banalizza il bene o l’amore. Non semplifica questa parola riducendola a un sentimento. Sa bene che l’amore non è uno stato passeggero, una passione fugace, ma un fatto. Concreto. Non si ferma alla prima attenzione, al primo gesto, al primo aiuto, perché non cambia le nostre vite. No, il samaritano oltre a chinarsi sull’umanità ferita, lacerata, scoraggiata e rassegnata che incontra, si mette in gioco fino alla fine. Non si limita a una pacca sulla spalla, a un sorriso di circostanza, a una frase fatta. Si fa carico delle angosce. Degli interrogativi, delle ansie. Accoglie e cura le ferite. Non abbandona la sofferenza fino a quando la ferita non si è rimarginata del tutto. Fino a quando non è che un ricordo.
Chi ha sperimentato questo amore non può fare a meno di fare altrettanto, perché «l’amore dà sempre vita». E allora la domanda centrale è: abbiamo conosciuto questo amore?Abbiamo incontrato questo Dio che è amore? Perché senza questo giriamo come viti spanate. Come criceti che corrono senza lasciare un segno. A che serve tutto il nostro affannarci, il nostro fare il bene, salvare una vita, se non c’è l’amore? Per testimoniare il Vangelo della vita e della gioia non possiamo non sentirci debitori.
Il debitore sa bene di essere stato amato senza alcun merito. E allora scompaiono i moralismi, il giudizio, l’abitino pulito e il ditino puntato.Chi si sente debitore, ama con una consapevolezza nuova, perché sa che Dio, con lui, non è stato giusto, ma misericordioso. E allora ama perché non può farne a meno. Ama senza autoreferenzialità o calcoli. Chi sa di essere stato amato senza alcun merito, va in giro con la faccia di Dio. Non ha bisogno del sottopancia con su scritto “cattolico”. La sua fede si vede. La sua speranza è contagiosa. Il perdono, la generosità, la gratuità non devono essere dette e raccontate, si percepiscono anche senza le parole. Sono vita che scorre, respiro costante.
È più facile fare una legge sulle “Disposizioni anticipate di trattamento” o spaccarsi la schiena per fare in modo che nessun malato e nessuna famiglia di un malato sia mai lasciata sola, dando concretezza piena all’attuazione del diritto alla salute sancito dalla Costituzione? Qui dov’è l’amore? Stiamo trasformando la nostra pigrizia e la nostra incapacità di trovare soluzioni politiche in compromessi dal breve respiro e dai danni futuri incalcolabili, credendo di fare il bene. Riempiendo di parole vuote il dibattito pubblico.Una ragazza madre, angosciata dalla paura del futuro di un figlio che non avrebbe voluto, non è un’astrazione.Un malato stanco che soffre nella sua carne la solitudine e il dolore di chi si sente, ormai, un peso è un fatto concreto. E quali sono le soluzioni che presentiamo? Le porte larghe delle semplificazioni.
Siamo indignati e ci fermiamo a quello, rassegnati del fatto che è meglio una mezza soluzione oggi che niente domani. E se provassimo tutti insieme a trovare una soluzione completa oggi? Siamo diventati il Paese del condono e delle scorciatoie.
Ecco cosa siamo senza questo amore. Ecco cos’è la vita senza la carità. Una rincorsa a giustificare, a trovare parole, ad autoconvincerci del fatto che aborto ed eutanasia siano diritti e non drammi. Due concetti astratti e non ferite che segnano le vite delle persone. I segni di una cultura chiusa all’incontro, avverte Francesco, gridano nella ricerca esasperata di interessi personali o di parte, nelle aggressioni contro le donne, nell’indifferenza verso i poveri e i migranti, nelle violenze contro la vita dei bambini sin dal concepimento e degli anziani segnati da un’estrema fragilità.
Solo una comunità dal respiro evangelico, che fa memoria ogni giorno di quell’amore, è capace di trasformare la realtà. Alla fine, la cultura della tristezza e dell’individualismo non sarà mai vinta senza l’annuncio di una buona notizia che rompe tutti gli schemi. Ci si aspetta dai cristiani che siano uomini e donne del terzo giorno, che sappiano parlare un linguaggio nuovo, che non si rassegnino mai alla morte e al grigiore del male. Uomini e donne che si rallegrano per il ritorno di chi si era perduto, e non aguzzini che aspettano al varco gli errori dei loro fratelli. L’amore dà sempre vita. Spesso ce lo dimentichiamo.