«Il nostro Paese - analizza impietosamente e senza mezzi termini don Ciotti (foto), presidente nazionale del Gruppo Abele e di Libera - non solo è malato, ma lo è gravemente. È malata la democrazia come forma di governo chiamata a garantire a tutte le persone una vita libera e dignitosa. Questa garanzia da tempo non esiste più: vale solo sulla carta mentre nei fatti è continuamente smentita. Libertà, dignità, lavoro da diritti sono diventati privilegi, beni solo per chi se li può permettere».
Colpito e affondato: nel nostro Paese si stanno ribaltando ruoli e funzioni, compiti e responsabilità. È solo colpa dei giovani se rimangono lungo a casa di mamma e papà senza avere un lavoro? La barzelletta dei "bamboccioni" firmata da Padoa Schioppa e Brunetta non regge più: sono i numeri che lo dicono, è la realtà che lo dimostra. La politica ha voltato le spalle troppo a lungo ai ragazzi, cieca di fronte all'evidenza che proprio i ragazzi avrebbero potuto essere il primo inesauribile motore del cambiamento: sviliti, umiliati, costretti ai margini, oggi quei giovani non sono più giovani. E la rassegnazione ha spento ogni fiamma di entusiasmo. Sarebbe stato sufficiente ascoltare i bisogni della gente e farsi guidare da questi, senza cadere nelle tentazioni del potere per ridurre le distanze sociale: «Nessuno - rincara la dose don Ciotti - ha la ricetta in tasca. Certo è, però, che la ripresa della fiducia non può che ruotare attorno alla parola uguaglianza, come ci ricorda l'articolo 3 della Costituzione».
Impossibile stare zitti, dunque: ora più che mai che dominano «egoismi, tanti menefreghismi, tante piccole e grandi corruzioni e illegalità, ora più che mai che «la gestione del bene è troppo spesso condizionata da interessi privati se non abusivi». D'altronde, come riporta l'analisi Istat, un Paese che vuole guardare al futuro con speranza non può veder precipitare l'incidenza di povertà relativa degli under 34 dal 10,8% al 14,7% in meno di un anno.
Rimangono, dunque, come risorsa, quelli che oggi sono ancora dei bambini. Un patrimonio da valorizzare prima che vada "bruciato". Giacomo Guerrera (foto), presidente di Unicef Italia, lo spiega chiaramente: «Il passo di povertà tra i bambini e gli adolescenti è tra i più importanti indicatori di salute e benessere di una società. In condizioni economiche incerte investire per la protezione e lo sviluppo dei bambini e degli adolescenti è non solo eticamente giusto ma anche economicamente vantaggioso».
E se in questo senso il confronto con altri Paesi rischia di risultare oltremodo impietoso oltre che si scarsa utilità, vale dunque la pensa interrogarsi sull'efficacia degli interventi finora adottati che, è sotto gli occhi di tutti, non si sono nemmeno lontanamente avvicinati agli obiettivi fissati e sperati. È necessario un cambio di rotta, ma anche di prospettiva perché ogni misura politica introdotta da questo Governo non può non tenere conto e valutare «l'impatto e gli effetti che tali misure possono avere sui bambini e gli adolescenti e sulle loro famiglie»: è questo, secondo Guerrera, uno dei più importanti indicatori della buona riuscita di un intervento politico.
E sempre sul tema dell'uguaglianza insiste anche Gianni Bottalico (foto), presidente nazionale delle Acli: «Preoccupa l'aumento della povertà assoluta, per dimensione, quasi cinque milioni di persone coinvolte, con un incremento di circa un terzo dell'incidenza rispetto al 2011, e per intensità, aggravando la forbice delle diseguaglianze. La situazione peggiore è per le famiglie, specie al Sud, con il capo famiglia disoccupato». Già, la famigerata questione meridionale: legislatura dopo legislatura sono state fatte promesse, sono stati lanciati slogan, si sono guadagnati voti salvo lasciare puntualmente delusa la gente del nostro Mezzogiorno.
Basta dire che secondo l'Istat nelle regioni del Sud e nelle Isole la povertà aumenta oltre che tra le famiglie con a capo una persona con la licenza media inferiore, tra quelle con persona di riferimento avente almeno il diploma, tra i dirigenti e gli impiegati, tra gli imprenditori e i liberi professionisti. Detto che si può dire consolidato il legame tra povertà e bassi livelli di istruzione, rimane il fatto dell'intensità della povertà che in indica in termini percentuali quanto la spesa media mensile delle famiglie povere si colloca al di sotto della linea di povertà: nel 2012 è risultata pari al 9,9% e corrisponde a una spesa media equivalente delle famiglie povere pari a 793,32 euro mensili.
Cosa fare dunque? Secondo Bottalico è necessario «frenare la perdita di posti di lavoro, attraverso un piano industriale capace di rilanciare la produzione in Italia e di valorizzare le professionalità, e occorre intervenire sul piano fiscale con nuove detrazioni per dare ossigeno alla capacità di spesa delle famiglie, prima che i numeri del disagio sociale, ed in particolare quelli relativi alla povertà assoluta, risultino ingestibili politicamente e per sbloccare la dinamica dei consumi, a cui sono appese le possibilità di ripresa». D'altronde in tutte le regioni del Mezzogiorno, escluso l'Abruzzo che si attesta sul 16,5% in termine di incidenza della povertà, la situazione è drammatica: in Campania, Calabria, Puglia e Sicilia, un quarto delle famiglie sono povere.