“È semplicemente demenziale accusare la famiglia o anche la scuola, in realtà questi ragazzi decidono di affrontare l’ignoto e arrivano persino a sfidare la morte, all’interno del gruppo, in una sorta di rito d’iniziazione”.
Così lo psicoterapeuta Gustavo Pietropolli Charmet commenta le cosiddette “morti da sballo”: un fenomeno che sta diventando un’emergenza, anche se non sono del tutto chiare le cause del decesso del del 19enne leccese Lorenzo Toma, morto poche notti fa in una discoteca del Salentino.
Quindi a suo avviso è sbagliato chiudere le discoteche…
“A mio avviso è un provvedimento inutile. Questi adolescenti arrivano a compiere atti estremi per ottenere il plauso del gruppo. Assumendo sostanze sballanti in discoteca, in un rito che comprende anche l’alcool, la musica assordante, l’allentamento del senso del pudore, ma anche lanciandosi in corse folli in motorino, bevendo birra fino al coma dopo essere stati nominati. Dobbiamo capire che non sono né tossici né alcolisti né tantomeno delinquenti. Spesso sono ragazzi irreprensibili, bravi a scuola, che in situazioni “normali” non farebbero cose del genere. Il fascino di questa prova di iniziazione gli adolescenti l’hanno sempre avvertito, ma oggi c’è un pericolo in più”.
Ossia la dipendenza dal gruppo?
“Qualcosa di più grave. Ormai c’è una vera e propria cultura generazionale che con internet trova i suoi canali di comunicazione. I nostri ragazzi sono abituati a vivere a stretto contatto coi coetanei fin dall’asilo, il pericolo è che la cultura del gruppo prevalga rispetto all’educazione familiare e scolastica. Se a questo aggiungiamo la crisi dei valori e del sacro, è evidente che il quadro è insidioso”.
Che cosa può fare la famiglia?
“Intanto non sbagliare la diagnosi, altrimenti noi adulti rischiamo di essere completamente tagliati fuori dal loro mondo. Bisogna cercare di renderli più autonomi, meno dipendenti dalla cultura omologante del gruppo. E non è facile”.