Una veglia di preghiera con i giovani stile Giornata mondiale della gioventù. Francesco si trova suo agio con le migliaia di ragazzi e ragazze che pregano nel campo diocesano di Soamandrakizay, ad Antananarivo. Danze, canti, riflessioni e testimonianze. Rova Sitraka e Vavy Elyssa condividono la loro esperienza: il volontariato in carcere, la vita nella comunità francescana, provenendo da una famiglia mista. Il Papa ringrazia i giovani per la loro accoglienza: «Non si sbagliavano», dice, «quelli che mi hanno detto che avete una gioia e un entusiasmo straordinari!».
Francesco invita i giovani a muoversi, ad agire, a impegnarsi. Ricordando la prima domanda che Gesù rivolge ai discepoli sulla riva del Giordano: «Che cosa cercate?». E il Signore, sottolinea il Papa, «sa che stiamo cercando quella “felicità per la quale siamo stati creati” e “che il mondo non ci potrà togliere”». Una felicità che ciascuno esprime a suo modo. Rova, con il suo desiderio di visitare i carcerati, per esempio. «Hai iniziato ad aiutare un sacerdote nella sua missione e, a poco a poco, ti sei impegnata sempre di più finché questa è diventata la tua missione personale», dice rivolgendosi alla prima giovane. «Hai scoperto che la tua vita era missionaria». E quello che la ragazza ha fatto per gli altri, ha trasformato la sua stessa vita, il suo modo di «vedere e giudicare le persone. Ti ha resa più giusta e più umana. Hai compreso e hai scoperto come il Signore si è impegnato con te, donandoti una felicità che il mondo non ti potrà togliere».
Francesco sottolinea che l’esperienza di Rova le ha fatto scoprire che il Signore «non ci chiama col nostro peccato, coi nostri errori, i nostri sbagli, i nostri limiti, ma lo fa con il nostro nome; ognuno di noi è prezioso ai suoi occhi. Il diavolo, invece, pur conoscendo i nostri nomi, preferisce chiamarci e richiamarci continuamente coi nostri peccati e i nostri errori; e in questo modo ci fa sentire che, qualunque cosa facciamo, nulla può cambiare, tutto rimarrà uguale. Il Signore non agisce così. Il Signore ci ricorda sempre quanto siamo preziosi ai suoi occhi, e ci affida una missione». Il suo volontariato in carcere le ha fatto imparare che «in molte persone che sono in prigione, non c’era il male, ma delle cattive scelte. Hanno sbagliato strada, e lo sanno, ma adesso vogliono ricominciare. Questo ci ricorda uno dei doni più belli che l’amicizia con Gesù può offrirci».
Una amicizia che ci toglie l’amarezza, la rassegnazione di pensare che nulla potrà cambiare.
Il Papa mette in guardia: «State attenti davanti a questa amarezza, state attenti» ripete più volte. E «state attenti», dice, anche «a coloro che ti promettono strade facili e poi ti lasciano a metà strada.Sappiamo tutti, anche per esperienza personale, che ci si può smarrire e correre dietro aillusioni che ci fanno promesse e ci incantano con una gioia appariscente, rapida, facile e immediata, ma che alla fine lasciano il cuore, lo sguardo e l’anima a metà strada. Quelle illusioniche, quando siamo giovani, ci seducono con promesse che ci anestetizzano, ci tolgono la vitalità, la gioia, ci rendono dipendenti e ci chiudono in un circolo apparentemente senza uscita e pieno di amarezza».
Ma il Signore ci toglie da questa amarezza, ci invita a condividere doni e carismi: «Il Signore ci chiama per nome e ci dice: “Seguimi!”. Non per farci correre dietro a delle illusioni, ma per trasformare ognuno di noi in discepoli-missionari qui e ora. È il primo a confutare tutte le voci che cercano di addormentarvi, di addomesticarvi, di anestetizzarvi o farvi tacere perché non cerchiate nuovi orizzonti. Con Gesù, ci sono sempre nuovi orizzonti. Vuole trasformarci tutti e fare della nostra vita una missione. Ma ci chiede una cosa: ci chiede di non aver paura di sporcarci le mani».
Il Papa invita i giovani a chiedersi se il Signore, se il Paese, se il popolo possono contare su di loro. E non come avventurieri solitari: «Il Signore non ci manda da soli in prima linea» spiega. «Come ha detto bene Vavy Elyssa, è impossibile essere un discepolo missionario da solo: abbiamo bisogno degli altri per vivere e condividere l’amore e la fiducia che il Signore ci dà. L’incontro personale con Gesù è insostituibile, non in maniera solitaria, ma comunitaria. Sicuramente, ognuno di noi può fare grandi cose, sì; ma insieme possiamo sognare e impegnarci per cose inimmaginabili! Vavy l’ha detto chiaramente. Siamo invitati a scoprire il volto di Gesù nei volti degli altri: celebrando la fede in modo familiare, creando legami di fraternità, partecipando alla vita di un gruppo o di un movimento e incoraggiandoci a tracciare un percorso comune vissuto in solidarietà. Così possiamo imparare a scoprire e discernere le strade che il Signore vi invita a percorrere, gli orizzonti che Lui prepara per voi. Mai isolarsi o voler fare da soli! È una delle peggiori tentazioni che possiamo avere».
Insieme anche quando si viene da appartenenze diverse. «Come nel caso dei tuoi genitori, Vavy, che, pur appartenendo a due tribù diverse, ognuna con le sue usanze e i suoi costumi, grazie al loro reciproco amore hanno potuto superare tutte le prove e le differenze, e indicarvi una bella via su cui camminare», sottolinea papa Francesco. «Una via che viene confermata ogni volta che vi donano i frutti della terra perché siano offerti all’altare. Quanto c’è bisogno di queste testimonianze! O come tua zia e le catechiste e i sacerdoti che le hanno accompagnate e sostenute nel processo della fede. Tutto ha contribuito a generare e incoraggiare il vostro “sì”. Tutti siamo importanti e necessari e nessuno può dire: “non ho bisogno di te”». Lo fa ripetere per tre volte, a tutti i giovani. E riprende: «Siamo una grande famiglia e possiamo scoprire, cari giovani, che abbiamo una Madre: la protettrice del Madagascar, la Vergine Maria». Il suo sì, conclude Francesco, «non era un “sì” tanto per dire: “beh, vediamo un po’ che cosa succede”. Maria non conosceva l’espressione: “Vediamo che cosa succede”. Lei ha detto “sì”, senza giri di parole. È il “sì” di coloro che vogliono impegnarsi e che sono disposti a rischiare, che vogliono scommettere tutto, senza altra sicurezza che la certezza di sapere che sono portatori di una promessa. Quella ragazza oggi è la Madre che veglia sui suoi figli che camminano nella vita spesso stanchi, bisognosi, ma che desiderano che la luce della speranza non si spenga. Questo è ciò che vogliamo per il Madagascar, per ciascuno di voi e per i vostri amici: che la luce della speranza non si spenga».