Al giorno d’oggi per i giovani entrare nel mondo del lavoro non è per nulla semplice. A ciò si aggiunge la scarsa capacità delle scuole di garantire ai propri studenti un percorso di orientamento strutturato ed efficace. E così i ragazzi spesso decidono il loro futuro scolastico e lavorativo o autonomamente, o affidandosi al consiglio o addirittura all’imposizione dei genitori, andando poi a scegliere strade non adatte a loro. Chi prova a combattere questa tendenza è l’Ente Nazionale Giuseppini del Murialdo -l’ente fondato dalla congregazione religiosa dei Giuseppini del Murialdo- che si occupa di organizzare un’adeguata attività di formazione, seguendo i percorsi di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP) destinati ai giovani che vogliono scegliere un percorso alternativo alla scuola superiore e consentendo così loro di ottenere una qualifica professionale immediatamente spendibile nel mercato del lavoro.
Il 30 gennaio a Roma, nell’Auditorium dell’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche, è stata presentata l’analisi dei risultati dell’indagine nazionale “Giovani e Futuro, coltivare le speranze attraverso il lavoro”, sviluppata da Engim a inizio 2024. L’inchiesta ha coinvolto oltre 4000 giovani adolescenti sia appartenenti all’ente, sia provenienti da istituti superiori statali. Al seminario “Giovani, lavoro e futuro” sono intervenuti diversi vertici di Engim e Inapp, oltre che i presidenti di Fondazione Terzjus e dell’Associazione Organizzazioni Italiane di Cooperazione e Solidarietà Internazionale.
Il seminario si è aperto con la riflessione di Loriano Bigi, Direttore generale dell’Inapp, che ha richiamato le parole scritte sull’attività umana e lavorativa da Papa Francesco nell’Esortazione Apostolica post-sinodale Christus Vivit: «"Quando uno scopre che Dio lo chiama a qualcosa, che è fatto per questo – può essere l’infermieristica, la falegnameria, la comunicazione, l’ingegneria, l’insegnamento, l’arte o qualsiasi altro lavoro – allora sarà capace di far sbocciare le sue migliori capacità di sacrificio, generosità e dedizione. Sapere che non si fanno le cose tanto per farle, ma con un significato, fa sì che queste attività offrano al proprio cuore un’esperienza speciale di pienezza”. Con queste parole il Santo Padre ci fa riflettere di come associare il lavoro all’attività creativa dia un senso totalizzante all’essere umano -ha spiegato Bigi- Dobbiamo lavorare su un approccio di analisi legato al giovane e ai suoi valori». I giovani vanno dunque messi al centro, come ha sottolineato anche Marco Muzzarelli, Direttore nazionale Engim: «La nostra ricerca è partita da una necessità di sentire non tanto i giovani tra i 18 e 34 anni, ma soprattutto gli adolescenti, ragazzi giovanissimi spesso inascoltati dagli adulti. Adulti che interpretano male i bisogni degli adolescenti e agiscono per loro conto, senza prima rendersi conto delle reali necessità. Da questo studio puntiamo a creare un osservatorio permanente integrato. Siamo chiamati prima ad ascoltare e poi ad agire, non viceversa».
Successivamente si è passati alla tavola rotonda “Orientamento, formazione e il posto del lavoro” moderata da Romano Benini e utile per entrare più nel concreto dell’indagine effettuata. Il professor Daniele Marini, autore ed ideatore della ricerca, ha spiegato dettagliatamente alcuni risultati della ricerca a partire dal problema del dis-orientamento giovanile. «Gli enti di formazione professionale raccolgono un disorientamento delle giovani generazioni di fronte ai percorsi scolastici da affrontare dopo la scuola media. Tra le figure genitoriali oggi è la madre ad orientare maggiormente i figli (25,6% risposte di membri Engim e 27,3% risposte di ragazzi degli Istituti superiori). In passato erano invece più i padri, che ora risultano abbastanza assenti in questo processo decisionale (10,8% Engim e 9,4% altri istituti) -ha evidenziato Marini- Il sondaggio però ci fa notare come i ragazzi scelgano la propria strada soprattutto senza consultare nessuno (26% Engim e 30% altri istituti). Quindi la ricerca sottolinea che, oltre alla famiglia e a sé stessi, gli studenti non hanno altri orientatori». A Marini ha fatto eco Massimiliano Franceschetti di Inapp: «Colpisce il fatto che il 30% dei giovani risponda di non avere punti di riferimento nell’orientamento. I ragazzi di oggi hanno un desiderio generale di relazionalità, ma sull’orientamento sono soli e questo è un problema».
Un’altra riflessione ha riguardato, invece, il problema della bocciatura, che risulta essere il fattore più determinante nella ri-organizzazione di un percorso scolastico. Ben il 67% dei bocciati, prima di aderire ad Engim, è passato prima da un secondo istituto. Viceversa l’83% dei non bocciati ha deciso di frequentare un corso Engim come prima esperienza dopo la scuola media. Spostando l’analisi verso le professioni e i luoghi di lavoro ideale, sono sorte grosse differenze fra gli adolescenti legati ad Engim e i giovani tra i 18 e 34 anni. Quest’ultimi prediligono lavorare in un ufficio pubblico (23%) o da casa (17,5%), mentre i ragazzi di Engim preferirebbero essere assunti in un piccolo negozio (33%) o in una piccola azienda artigiana (18,5%).
In definitiva come si legge anche nelle conclusione del rapporto: “Nell’istantanea che ne risulta, quindi, si vedono ben nitidi la fiducia nel futuro e, in particolare, l’ottimismo nel futuro lavorativo, mentre sono un po’ sfocati i valori di riferimento: la maggior parte dei giovani intervistati non è né “tradizionalista” (che fa riferimento ai valori della famiglia, del lavoro e della fede), né “impegnata” (culturalmente o politicamente) e nemmeno “ludica” (orientata al tempo libero e agli amici). I giovani d’oggi sono soprattutto “relativisti” per cui tutto è relativamente importante. Gli allievi IeFP guardano al futuro con una speranza più elevata rispetto ai coetanei frequentanti gli altri istituti scolastici e hanno nel cassetto dei sogni già ben definiti. È plausibile ipotizzare che, da un lato, vi sia un elemento di riscatto che muove in questa direzione, la possibilità di dimostrare di valere. Dall’altro, è la prossimità al lavoro, l’apprendimento in contesto lavorativo che rende il percorso formativo più appetibile e meno stressante. Ne deriva una nuova consapevolezza per gli enti di formazione, e per il mondo degli adulti in generale: le giovani generazioni vanno accompagnate nella transizione lavorativa non solo dal punto di vista professionale, ma anche nel preservare la dimensione ideale del lavoro e del suo valore, favorendo l’abbandono dell’approccio “relativista” che caratterizza i giovani d’oggi”.