Don Claudio Burgio.
Le carceri italiane si sono prese un’altra vita. Nel penitenziario pavese di Torre del Gallo, il 26enne Jordan Tinti, trapper noto con il nome d’arte di Jordan Jeffrey Baby, ha deciso di farla finita trovando una corda a cui impiccarsi. Elemento sul quale le autorità dovranno far luce. Ad oggi sono già 24 le persone che si sono tolte la vita nelle carceri italiane da inizio anno: un morto ogni 72 ore.
Don Claudio Burgio, cappellano del carcere minorile Beccaria di Milano e fondatore della comunità Kayròs di Vimodrone lancia l’allarme - che è anche un appello - alle istituzioni: «I suicidi tra i giovani sono in aumento in questi anni, dentro e fuori i penitenziari. Ma in carcere succede più spesso anche perché insieme al sovraffollamento c’è un altro problema: in questi luoghi ci finiscono troppe persone che in cella non ci dovrebbero stare per via delle loro condizioni fragilità psichica e psichiatria. Casi che fanno diventare le carceri degli ospedali senza gli strumenti per esserlo».
Tinti si è tolto la vita nella notte tra lunedì 11 e martedì 12 marzo ed è stato trovato dalla Polizia penitenziaria con un cappio appeso alle sbarre. Il trapper - con milioni di streaming su Spotify e una collaborazione con Plant dei La Sad, band salita sul palco di Sanremo 2024 con Autodistruttivo - stava scontando una pena definitiva di quattro anni e quattro mesi. Insieme ad un amico aveva rapinato, con l’aggravante dell’odio razziale, un quarantaduenne nigeriano nell’estate 2022 nella stazione di Carnate in Brianza. Lo scorso dicembre il ventiseienne era riuscito ad ottenere il permesso di scontare la pena in comunità, da cui però è stato espulso una decina di giorni fa perché trovato in possesso di un cellulare e di un pacchetto di sigarette - ha fatto sapere il suo avvocato - che violano la misura alternativa e hanno portato al rientro in quel carcere, il Torre del Gallo a Pavia, in cui sarebbe stato vittima di una violenza sessuale e di maltrattamenti. Motivo per cui aveva già tentato il suicidio.
«Non esiste che oggi, nel 2024, un ragazzo torni in carcere dalla comunità perché trovato in possesso di un cellulare - chiosa don Burgio -. È una cosa fuori dal tempo, anche perché le indagini intorno al suo caso erano chiuse e non c’era alcun pericolo che il ragazzo alterasse le prove. La regola esiste ma è anacronistica perché i giovani, ma come tutti noi ormai, nel telefono hanno una parte della vita. Ci sono le foto degli affetti, degli amici e possono mandare messaggi e a chi è fuori, restando in contatto con quel mondo in cui il carcere e la comunità dovrebbero prepararli a tornare».
Il caso del giovane musicista suicida in carcere è destabilizzante per don Burgio, che non riesce a cogliere la ragione per cui «una persona già fragile venga sradicata dai rapporti creati in mesi di comunità. A Kayòs, ad esempio, abbiamo un educatore ogni due ragazzi, in carcere in media il rapporto è di 1 professionista ogni 300 detenuti, e passano anche mesi per avere un incontro». Così rabbia, depressione, solitudine, unite al sovraffollamento delle carceri portano giovani con problemi di salute mentale a compiere gesti estremi».
In questo la musica può svolgere un ruolo importante: «Per i ragazzi è uno strumento terapeutico. Al di là di quello che è il messaggio che veicolano. Può essere, come nel caso di questo trapper, ma anche per i miei ragazzi della comunità, che i loro testi siano violenti. È lo specchio della sofferenza e della rabbia che covano. Questo non ci sorprenda, anzi: per gli educatori la musica e queste parole cantate diventano una prima forma di dialogo con loro. Senza giudizio. Perché ascoltarli - conclude don Burgio - anche quando sono inascoltabili è il primo passo per capirli e aiutarli a prendersi cura di loro stessi. È iniziando a buttare fuori la violenza che si aprono gli spiragli per portare dentro certi valori e la voglia di iniziare altri percorsi di vita, dallo studio al lavoro».