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martedì 22 aprile 2025
 
 

Giovani: tra il porto e l'orizzonte

11/02/2014  Parla don Michele Falabretti, responsabile Cei della pastorale giovanile

È  un po’ la condizione in cui si trovano i giovani, secondo la ricerca presentata al convegno: hanno desideri e speranze, guardano oltre l’orizzonte, ma intanto cercano in famiglia il porto sicuro. E, anche quando spiccano il volo, sono sempre sul punto di ritornare nel nido. «Ma questo “Tra il porto e l’orizzonte” è un titolo che abbiamo scelto anche per un altro motivo», spiega don Michele Falabretti, responsabile Cei della pastorale giovanile. «Abbiamo pensato alla figura dell’educatore che ha il compito di custodire, come il porto, e di rilanciare, di mandare, di far partire. Il porto dice tutta l’idea della custodia, della maternità, e l’orizzonte dice invece della capacità di saper consegnare il senso della vita e affidarlo a chi lo deve vivere. Sono anche le due dimensioni della paternità e della maternità».

Anche la ricerca parla di maternità e paternità. I giovani hanno molta più fiducia nei genitori che non negli amici, nelle istituzioni, nel mondo esterno. È consolante?
«Non proprio. Pagnoncelli diceva che la famiglia ne viene fuori bene perché eroga dei servizi: perché è più smeplice restare in una casa dove c'è chi stira, cucina, non bisogna pagare l'affitto. Davanti a una lettura così, però, dobbiamo sentirci provocati. Una provocazione interessante. Si prende atto che la mamma è una figura di riferimento. Allo stesso tempo però ci chiediamo perché noi come chiesa facciamo così fatica adesso».

La sfida, dunque, è per gli educatori. Come si fa a recuperare fiducia?
«Credo che ci sia da fare una operazione verità. Un comico ha rappresentato il Papa che va a consegnare un frigorifero. Quell'immagine dice della fatica di stare dietro ai suoi gesti. Abbiamo capito che i gesti della cura e della attenzione scuotono gli uomini di oggi. Però la fatica non è di capire, ma di vivere questo. La Chiesa e gli educatori o si interrogano veramente su qual è il sogno sul mondo, su quali prospettive consegnare agli uomini di oggi e su quali terreni condividere la vita oppure rischiamo veramente l'isolamento. Perché alcune cose parlano solo a pochi. Se abbiamo intenzione di costruirci una nicchia, va bene, altrimenti dobbiamo metterci in gioco sul serio senza pensare che sia l'uomo i oggi a essere sbagliato».

Da questo convegno quale messaggio esce?
«Spero che esca un messaggio di fiducia. Non siamo extraterrestri che vivono sulla terra, come dice la lettera a Diogneto, però i cristiani hanno dell'incredibile. Mettere insieme questa ordinarietà con l'incredibile che ci portiamo nel cuore è la nostra sfida. E questo significa che la questione educativa ce la riprendiamo in mano con grande coraggio e trovando il modo di essere significativi per i giovani e gli adolescenti che incontriamo»
 

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