Giovanna
Romanato è una persona
unica e non solo perché
è la sola in Italia a usare il polmone
d’acciaio da quasi sessant’anni,
da quando ne aveva
dieci, appena dopo aver contratto la
poliomielite. Nata nel 1946, è genovese,
tifa Sampdoria e non si capacita della
sua attitudine a tirare su di morale quelli
che incontra. La sua storia è raccontata
nel libro La farfalla nel bozzolo d’acciaio
scritto dal giornalista Enzo Melillo, con
la prefazione di Lorella Cuccarini, che
offrono il ricavato a Giovanna. Scelta
dettata dal fatto che lo Stato non copre
nessuna delle spese sostenute.
Giovanna, la prima volta che hai
visto il polmone d’acciaio che cosa
hai pensato?
«Ho immaginato una creatura buona,
anche se ero molto piccola ed eravamo
in ospedale, perché ci respiravo dentro.
Fuori facevo molta fatica per la poliomielite,
che mi indeboliva. Lì dentro, invece,
stavo meglio».
E sei rimasta in ospedale per diciassette mesi di fila...
«Sì, e poi sono tornata a casa respirando
da sola. I medici del Gaslini di Genova,
dove ero ricoverata, mi fecero riprendere
a respirare autonomamente spegnendo
il polmone d’acciaio per un minuto
ogni ora e poi aumentando progressivamente.
Facevo molta fatica, cambiavo
colore in faccia e lacrimavo. Dico sempre
che mi sembrava d’essere un pesce
fuor d’acqua, anche se non sono mai
stata un pesce e non so realmente come
stanno i pesci fuori dall’acqua».
E avevi ripreso anche una buona autonomia motoria, vero?
«Sì, grazie alla fisioterapia e a un apposito corsetto riuscivo a muovere gli arti.
Riuscivo perfino a camminare un po’ da
sola. Avevo una vita quasi normale. Andavo
a scuola, gli amici venivano a trovarmi
e alla domenica spesso si usciva
con la famiglia».
Finché il polmone d’acciaio non è tornato indispensabile, giusto?
«Esatto. Compiuti i quattordici anni ho avuto
una ricaduta. Così sono tornata al Gaslini
e ne sono uscita a diciotto anni passati.
Ma mi hanno installato il polmone a casa
per usarlo tutta la notte. Da allora non l’ho
più abbandonato. Siamo cresciuti insieme.
Lui è un vecchio rudere made in Usa.»
Riesci a uscire qualche volta?
«Non esco quasi mai perché siamo al
quarto piano e non c’è l’ascensore. E poi
per uscire bisogna organizzare un squadra
perché, mentre fino a qualche anno
fa riuscivo a respirare bene di giorno
fuori dal polmone, oggi devo usare un
apparecchio che mi aiuta. E questo ha
bisogno di essere seguito».
Però hai un sacco di amici che vengono a trovarti e che si trovano molto bene con te, vero?
«Sì, non so che cosa trovino in me. Dicono
di sentirsi bene a starmi a fianco.
Che c’è qualcosa in me che li fa stare bene.
Una sorta di segreto, ma io non so
che cosa sia. A loro dico semplicemente
che bisogna essere sempre contenti di
quello che si ha».
E tu che cosa hai di più prezioso?
«Ho la vita. La vita è piena di cose belle:
il mare, i monti, i fiori… Se non hai la vita
ti perdi tutto. La vita è sempre un’esperienza
emozionante».
Ma tu, con la tua serenità, non hai mai momenti di sconforto?
«Sì, a volte piango, ma poi passa pensando
alle bellezze del mondo, agli amici, al
mio gatto, che era della mia vicina e poi
si è innamorato di me…».
Ecco, l’amore, ti posso chiedere se ti sei mai innamorata?
«Certo che sì. Sono stata e sono innamorata
di una persona. Anche se con gli anni
le cose si attenuano. Però l’amore è
un sentimento per sempre. Non farmi
dire di più».
Chi si occupa di aiutarti nelle tue esigenze di ogni giorno?
«Ho due badanti che mi aiutano giorno
e notte e mi capiscono al volo. Basta
un’occhiata per intenderci. Sono come
una famiglia. Poi ci sono gli amici e mio
fratello con mia cognata e i miei amatissimi
nipoti».
Parlando di famiglia, te la senti di parlare di tua madre?
«Mia madre è stata una persona meravigliosa.
Mi è sempre stata accanto. Papà
lavorava e lei si occupava di me in tutto
e per tutto. Praticamente viveva con me
in ospedale, negli anni in cui ci sono stata.
Tutta l’energia che ho dentro me l’ha
trasmessa lei».
In tutta franchezza, se dovessi paragonarti a un animale a quale ti paragoneresti?
«Non ci ho mai pensato. È difficile a dirsi.
Credo però che la farfalla da cui prende
spunto il titolo del libro che parla di
me mi si addica molto. Ecco, sì, io mi
sento leggera come una farfalla».