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mercoledì 09 ottobre 2024
 
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A Sanremo ho portato l’anima della Terrasanta

11/02/2016  Il cantautore, in questi giorni sul palco di Sanremo, racconta come nella terra di Gesù ha percepito il senso della vita e svela la sua lunga ricerca di fede, ancora non conclusa, dopo la morte del padre quando era bambino

Ci sono territori che non sembrano nemmeno appartenere alla Terra: luoghi dove l’infinito si avvicina a un passo dai nostri cuori, sfiorando l’anima. Una contiguità che diventa quasi palpabile, carnale e provocatoria, come ha percepito il cantautore Giovanni Caccamo. Il vincitore 2015 delle Nuove proposte di Sanremo, in questi giorni di nuovo sul palco dell’Ariston nella categoria dei Big, si è infatti sentito profondamente cambiato dal suo ultimo viaggio nella terra di Gesù. Recatosi a Gerusalemme su invito della Custodia di Terrasanta, ha suonato uno dei suoi tanti live at home (concerti realizzati in case o palchi speciali) per gli abitanti della città. Doveva essere dunque una performance come tante altre, invece si è trasformata in qualcosa di più. Spinto dal desiderio di conoscere la realtà che sosteneva con questa sua tappa del tour, Caccamo si è immerso nella realtà di Gerusalemme, dove ha trovato un senso di misericordia rispetto ai suoi tanti dubbi e interrogativi. Da quando infatti perse suo padre a 11 anni, Caccamo ha iniziato a interrogarsi sul senso della vita: prima con rabbia, poi con ostinata curiosità. Oggi quelle risposte così agognate non sono ancora arrivate ma, dopo il viaggio in Terrasanta, Giovanni si è sentito pacificato, riscoprendo una dimensione più spirituale e amorevole nella sua vita.

Cosa ha visto di così sorprendente in Terrasanta?

«Dopo il concerto, sono andato a visitare due centri di accoglienza: uno per anziani e uno per bambini malformati. In quell’occasione mi chiesi come fosse possibile riuscire a trovare un senso nella vita quando si versa in una situazione di così estrema solitudine fisica. Ricordo che alzai gli occhi verso il cielo percependo come una “presenza” invisibile, ma al contempo chiara».
Per questo è cambiato anche il suo modo di cantare? Il suo secondo album ha sonorità e testi molto più spensierati rispetto al primo.
«Ho scritto il singolo Non siamo soli, che dà anche il nome al nuovo album, proprio a Gerusalemme. La canzone spiega che, anche nella solitudine più cupa, se alziamo gli occhi verso il cielo troveremo sempre delle mani tese verso di noi. Non ne faccio una questione di religione, ma di spiritualità: in Terrasanta ho percepito una verticalità».

È riuscito anche a dare un nome a questa “presenza”? A farla diventare fede?

«No. Tuttavia la mia serenità sta nell’apprezzare quello che ho e nell’affidarmi, accettando che non mi è dato conoscere alcune verità esistenziali. Ma è proprio il mio essere piccolo e limitato a farmi sentire maggiormente in armonia. Tra l’altro quanto mi è accaduto a Gerusalemme è l’apice di un percorso personale molto lungo. A 11 anni persi mio padre, a causa di un cancro. I primi anni sono stati di rabbia, e mi interrogavo sul senso della vita, sulla possibilità di un’esistenza dopo la morte. Oggi tali domande, a cui mi sento incapace di rispondere, si sono risolte nella gratitudine per le cose meravigliose che ho: in primis, la vita stessa e la salute. Per questo, ogni giorno, prima di andare a dormire, dico “grazie”».

C’è chi ha intravisto una furbizia mediatica nel voler dedicare al padre scomparso la sua vittoria a Sanremo 2015. Perché ha scelto di esporsi, peraltro su un palco così importante come quello di Sanremo?

«Fin dal primo momento in cui ho iniziato a cantare, ho promesso a me stesso di rimanere autentico, mettendo a disposizione degli altri la mia storia, le mie paure, le mie gioie. Non è stato − e non è − semplice, ma credo che proprio questo impreziosisca il mestiere del cantante. La stessa formula del Live at home nasce da qui: ho iniziato 3 anni fa a tenere concerti, in un momento in cui la mia precedente etichetta mi teneva bloccato per via del cognome. Caccamo, dicevano, non funzionava. Allora ho inventato l’idea del contest on line: chiunque avesse un pianoforte in casa, poteva candidare il proprio salotto come palcoscenico del tour. Ho iniziato a girare per le case, suonando e incontrando le persone. Ho mantenuto la stessa formula anche dopo Sanremo, nei teatri: ora non ho più 3 persone davanti, ma 300. Però il fatto di raccontare, tra un pezzo e l’altro, la storia da cui nasce ogni canzone, aiuta il pubblico a interrogarsi a sua volta e a mettersi, anche lui, a nudo».


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