Quale migliore occasione del Giubileo dei catechisti per dare volto e parola alla “catechista di Credere” Francesca Fabris, curatrice della rubrica “I figli ci chiedono…” in cui cerca di rispondere agli (insidiosi!) interrogativi provenienti dai lettori più giovani.
Nata a Venezia nel 1968, dove ha vissuto fino al 1988, Francesca vive a Milano dal 1993 col marito Luciano (giornalista di Famiglia Cristiana) e i figli Elena, Maddalena e Davide. Lavora nel mondo dell’editoria dal 2000 sia come scrittrice per bambini che come consulente per diverse case editrici, oltre a collaborare con numerosi periodici. Un impegno vario e massiccio che ha come molla la cura per i ragazzi e per la loro crescita spirituale. Sentiamo direttamente da lei come è nato tutto questo.
Quando e come hai scoperto che eri una persona adatta ad avvicinare i più giovani alla fede?
«Avevo 15 anni e il mio parroco di allora – abitavo ancora a Venezia e frequentavo la parrocchia di San Silvestro – mi propose di frequentare un corso residenziale per catechisti nel mese di agosto. Era organizzato dall’ufficio catechistico, allora il patriarca era Marco Cè. Sono andata piena di buona volontà e tante belle speranze e ho trovato degli animatori di catechesi veramente molto validi, mi hanno trasmesso una grande passione per la didattica della catechesi. Tra di loro c’era un sacerdote molto bravo, Beniamino Pizziol, che ora è il vescovo di Vicenza. Sapeva creare una bella sintonia con i giovani. Il motto del corso era: per essere un bravo catechista ci vuole l’essere, il sapere e il saper fare».
Bel motto, ma va spiegato…
«Occorre l’essere, perché se non sei un bravo cristiano non hai niente di valido da trasmettere a dei ragazzi che si preparano a diventare a loro volta dei bravi cristiani; il sapere, perché devi studiare la Bibbia, i catechismi e i documenti del Magistero (soprattutto il Documento base!) se vuoi avere qualcosa di interessante da trasmettere e una valida parola che non sia il “io la vedo così, a me pare che…” ispirato al sentimento del momento; e il saper fare perché la catechesi, al pari della didattica scolastica, ha bisogno di una sua metodologia e bisogna acquisirla, impratichirsi, padroneggiarla a dovere, non solo perché ti aiuta a interessare i ragazzi, e così avrai meno problemi di disciplina, perché staranno sempre tutti attenti».
In effetti catturare l’attenzione dei ragazzi è un problema sempre presente nell’ora di catechesi.
«Occorre ricordare che i ragazzi rammentano il 30% di quello che ascoltano, il 60% di quello che ascoltano e contemporaneamente vedono, il 90% di quello che ascoltano, vedono ed eseguono. Faccio un esempio: se il catechista si limita a parlare, avrà un 30% di buon risultato, se il catechista parla e fa vedere un cartellone, un filmato o delle fotografie, avrà un 60% di buon risultato, se il catechista parla, fa vedere immagini e fa fare ai ragazzi una drammatizzazione, o li porta a fare una passeggiata al parco (per gustare le bellezze della Creazione), o alla mensa caritativa (per gustare la bellezza di farsi prossimo), insomma permette loro di fare un’esperienza, otterrà un 90% di buon risultato».
Come scegli gli argomenti da trattare con i ragazzi?
«I catechismi Cei sono l’aiuto più valido: vi ho sempre trovato una progressione nel trattare gli argomenti, un linguaggio sempre a portata di bambino, una proposta super allettante quando si rivolgono agli adolescenti che, si sa, hanno sempre bisogno di eroi e beniamini a cui ispirarsi. Quindi, per rispondere alla tua domanda dico che per scegliere gli argomenti da trattare prendo in mano il catechismo di riferimento per la fascia d’età a cui mi devo rivolgere, poi penso ai miei destinatari e cerco di conoscerli profondamente, chi sono, come vivono, quali difficoltà possono affrontare, quale grande dolore hanno nella vita, quali aspirazioni hanno… poi scelgo gli argomenti che mi sembrano adatti a loro e cerco di trasmetterli il più possibile attraverso il gioco».
Quali sono i momenti di maggiore gratificazione che ottieni come catechista?
«Quando i ragazzi si aprono con il cuore in mano è il momento più bello. Una volta con un gruppo che doveva ricevere la Cresima – eravamo sotto Natale – ho chiesto: cosa vuol dire il Natale per voi? Una ragazza di 11 anni ha avuto il coraggio di dirmi la sua verità: per me il Natale sono solo i regali. Io mi sono sentita veramente delusa, con l’idea che avevo sbagliato tutto, ma l’ho ringraziata per essere stata sincera con me: sai, le ho detto, è molto più facile rispondere al catechista quello che vuol sentirsi dire piuttosto che quello che è vero per te, sei stata coraggiosa ad aprirmi il tuo cuore. Poi abbiamo intavolato una discussione sui valori della vita, e non ci siamo più fermati, nonne e baby sitter aspettavano sulla porta impazienti e noi continuavamo a discutere. Quando non abbiamo più potuto continuare, la ragazza mi ha salutato dicendomi: è la prima volta che il catechismo mi è servito veramente. È stata un’emozione forte, non la dimenticherò mai».
Chi è Francesca Fabris quando non è la catechista di Credere?
«Principalmente scrivo. Ho due rubriche sul mensile Madre, poi come consulente editoriale valuto nuove proposte, seguo autori, grafici e illustratori dall’idea alla bozza pronta per la stampa, creo progetti editoriali, nuove collane, scrivo racconti e romanzi, traduco libri per bambini».
E una volta deposta la penna?
«Mi piace molto dedicarmi alla mia famiglia, ho tre figli e una nipote, ma mi piace definirmi una mamma allargata, taglia XXXL, perché adoro che i miei figli portino a casa i loro amici. Più di una volta ho prestato loro la casa per feste di compleanno. Ho approfittato per fare un weekend romantico col marito e ho lasciato le chiavi di casa al festeggiato di turno ed è andato tutto bene: se si dà fiducia ai ragazzi, li si responsabilizza e li si fa sentire amati, va sempre a finire bene, è un segreto che mi ha detto “Qualcuno” e che io cerco di mettere in pratica!».
Hai qualche consiglio da dare ai tuoi colleghi impegnati in tutte le parrocchie d’Italia?
«Non lavorate da soli, fate gruppo, incontratevi fra catechisti e discutete dei problemi e trovate una soluzione insieme. Fatevi sentire con i genitori dei vostri catechizzandi. Non accontentatevi di inviare mail o avvisi cartacei, ma chiamateli personalmente per comunicare anche i più banali aspetti organizzativi. E non abbattetevi se scoprite che tutto quello che avete predicato in anni non è andato a buon fine, perché non è vero. La parola di Dio trova sempre il modo di agire, voi dovete solo farvi strumento della Parola. E poi scrivetemi e fatemi sapere quali sono le vostre difficoltà. Sarò lieta di fare da pit-stop del catechista e di rispondervi su Credere».