Erano circa mille i detenuti presenti in San Pietro per il Giubileo dei carcerati. Un appuntamento voluto per chi sta scontando pene detentive e per il mondo che ruota loro intorno: cappellani, agenti di Polizia, personale amministrauvo, volontari. E rispettivi familiari. «Che oggi, dinanzi al Signore, la vostra speranza sia accesa», ha esordito Jorge Mario Bergoglio nell'omelia. «Il Giubileo, per la sua stessa natura, porta con sé l’annuncio della liberazione. Non dipende da me poterla concedere, ma suscitare in ognuno di voi il desiderio della vera libertà è un compito a cui la Chiesa non può rinunciare. A volte, una certa ipocrisia spinge a vedere in voi solo delle persone che hanno sbagliato, per le quali l’unica via è quella del carcere. Io vi dico: ogni volta che entro in un carcere mi domando: “Perché loro e non io?”. Tutti abbiamo la possibilità di sbagliare: tutti. In una maniera o nell’altra abbiamo sbagliato. E l’ipocrisia fa sì che non si pensi alla possibilità di cambiare vita: c’è poca fiducia nella riabilitazione, nel reinserimento nella società. Ma in questo modo si dimentica che tutti siamo peccatori e, spesso, siamo anche prigionieri senza rendercene conto. Quando si rimane chiusi nei propri pregiudizi, o si è schiavi degli idoli di un falso benessere, quando ci si muove dentro schemi ideologici o si assolutizzano leggi di mercato che schiacciano le persone, in realtà non si fa altro che stare tra le strette pareti della cella dell’individualismo e dell’autosufficienza, privati della verità che genera la libertà. E puntare il dito contro qualcuno che ha sbagliato non può diventare un alibi per nascondere le proprie contraddizioni».
Sono parole di speranza, quelle pronunciate da Francesco. Che toccano nel profondo e commuovono, come provano le immagini tv che indugiano su molti occhi lucidi.Il peso del passato non può essere una pena accessoria che soffoca ogni possibile futuro.«Sappiamo che nessuno davanti a Dio può considerarsi giusto. Ma nessuno può vivere senza la certezza di trovare il perdono!», prosegue il Papa. «Il ladro pentito, crocifisso insieme a Gesù, lo ha accompagnato in paradiso. Nessuno di voi, pertanto, si rinchiuda nel passato! Certo, la storia passata, anche se lo volessimo, non può essere riscritta. Ma la storia che inizia oggi, e che guarda al futuro, è ancora tutta da scrivere, con la grazia di Dio e con la vostra personale responsabilità. Imparando dagli sbagli del passato, si può aprire un nuovo capitolo della vita. Non cadiamo nella tentazione di pensare di non poter essere perdonati. Qualunque cosa, piccola o grande, il cuore ci rimproveri, "Dio è più grande del nostro cuore": dobbiamo solo affidarci alla sua misericordia».
Un concetto ripetuto. Insistito. Che non ignora, anzi, include i concetti di colpa, di pena e di responsabiltà personale («Certo, il mancato rispetto della legge ha meritato la condanna; e la
privazione della libertà è la forma più pesante della pena che si
sconta, perché tocca la persona nel suo nucleo più intimo»). Ma che va oltre: «La speranza non può venire meno. Una cosa, infatti, è ciò che
meritiamo per il male compiuto; altra cosa, invece, è il “respiro” della
speranza, che non può essere soffocato da niente e da nessuno. Il
nostro cuore sempre spera il bene; ne siamo debitori alla misericordia
con la quale Dio ci viene incontro senza mai abbandonarci».
Insomma, quasi un crescendo wagneriano che caratterizza l'intervento del Papa fino alla conclusione: «La fede, anche se piccola come un granello di senape, è in grado di spostare le montagne», termina Bergoglio: «Quante volte la forza della fede ha permesso di pronunciare la parola perdono in condizioni umanamente impossibili! Persone che hanno patito violenze o soprusi su loro stesse o sui propri cari o i propri beni… Solo la forza di Dio, la misericordia, può guarire certe ferite. E dove alla violenza si risponde con il perdono, là anche il cuore di chi ha sbagliato può essere vinto dall’amore che sconfigge ogni forma di male. E così, tra le vittime e tra i colpevoli, Dio suscita autentici testimoni e operatori di misericordia».