L’ombra delle guerre, a cominciare dal Medio Oriente, e la gioia di incontrarsi. L’attualità della fede. I tormenti e le inquietudini dei primi discepoli simili, per molti versi, ai giovani di oggi. Un gruppo di ragazzi innalza i cartelli con la scritta “I giovani di Gaza con noi”. La preghiera e la festa. I cori per papa Leone e il ricordo di Francesco con alcuni ragazzi che indossano la t-shirt della Gmg di Lisbona dove tre anni fa Bergoglio aveva dato appuntamento a tutti proprio qui a Roma per l’Anno Santo. E poi, l’inno della Gmg del 2000, Jesus Christ you are my life, che fa commuovere molti quando viene intonata dall’Orchestra sinfonica del Conservatorio A. Casella dell’Aquila diretta dal maestro Leonardo De Amicis. Ma anche gli 883, Lucio Dalla, Rino Gaetano, Lucio Battisti e Franco Battiato. Musica leggera e note rock.

È la festa degli italiani presenti a Roma per il Giubileo dei giovani. Sono circa 40mila ma tra la folla ci sono anche tanti inglesi, americani, brasiliani, filippini e portoghesi.

Una festa per riflettere su Pietro, sul suo percorso avvincente e tormentato di Apostolo, sulla chiamata ricevuta da Gesù ma anche sulla sua paura durante la Passione quando disse di non conoscere il Maestro e lo rinnegò tre volte prima di scoppiare a piangere. A prestargli la a voce è Giorgio Pasotti mentre l’identità e la vita di Pietro vengono tracciate attraverso musica, parole e testimonianze.

Come quella di don Antonio Loffredo, già parroco del Rione Sanità che ha investito sui giovani e sulla loro capacità di riscatto sociale: «A Napoli diciamo che “Se po' campà senza sapé pecché, ma non se po' campà senza sapé pecchì…”», dice ai ragazzi, «si può vivere senza capire il motivo della propria esistenza, ma non si può vivere senza sapere per chi si vive. Noi sappiamo di sicuro per Chi …. un giorno abbiamo detto a Cristo “ti voglio bene” e ci siamo impegnati a pascere le sue pecorelle, cercando di donare loro una vita che ha il sapore della speranza e il profumo dell’infinito».

Si celebra la vita, in questa piazza assolata e colorata. La canta Amara nella bella interpretazione della canzone Che sia benedetta di Fiorella Mannoia. La racconta Laura Lucchin, la madre Sammy Basso, il giovane biologo di 28 anni malato di progeria e scomparso il 6 ottobre scorso: «La mia vita è sempre stata coloratissima: mi sono sempre divertita tanto insieme a lui, era/è allegro, solare, positivo, divertente, è sempre stato un dispensatore di gioia e felicità, sempre, anche quando non stava bene», dice ai ragazzi, «abbiamo sempre parlato tanto e di tutto, ci teneva ad avere il nostro punto di vista e i nostri consigli, sempre pronti al confronto costruttivo, ma anche qualche scontro se poi fa crescere. Ha sempre amato parlare con tutti, dai bimbi piccoli, ai ragazzi, agli adulti e agli anziani, perché da ognuno imparava qualcosa e sapeva mettersi alla pari. Dopo i primi momenti di imbarazzo nel trovarsi davanti una persona fisicamente particolare tutti si sentivano a loro agio e, dopo le prime parole, la malattia spariva. Casa nostra è sempre stata piena di amici, le nostre porte sono sempre state aperte a tutti, un’altra importante lezione… imparare a guardare le persone direttamente negli occhi per scoprire il bello e la parte più vera dentro a ognuno, tralasciando l’involucro di cui l’anima si serve per questa vita terrena». Laura dice di aver avuto «il grande privilegio di vivere l’amore vero, incondizionato, puro e donato a braccia aperte, senza riserve: abbracciare Sammy e sentirsi in pace, accolti e amati…. Sammy e la sua fede vissuta nel concreto, sentita e ricercata quotidianamente come punto di partenza di ogni giornata e testimoniata con coraggio». E saluta la piazza con le stesse parole che utilizzava Sammy con i suoi amici: «Vi voglio bene».

L’altra testimonianza è affidata a Nicolò Govoni, scrittore e fondatore di "Still I Rise", organizzazione umanitaria in prima linea per l'educazione di bambini profughi e vulnerabili in varie aree del mondo: «Sapete qual è la cosa più sovversiva che potete fare al giorno d’oggi? La più strana, la più folle, la più rivoluzionaria? Avere speranza», dice ai ragazzi, «guardatevi intorno. Viviamo in un mondo che punta tutto sul pessimismo. Sulla diffidenza. Sulla divisione. E sapete perché? Perché vende. La disillusione vende. La società che ci circonda è congegnata per generare insoddisfazione, così da farci bramare ciò che pensiamo ci manchi. Inseguiamo distrazione su distrazione per sfuggire al vuoto che ci sentiamo dentro. Ci convincono del fatto che nulla possa mai cambiare davvero, e quindi perché provarci? Ci piace pensare che i problemi del mondo siano competenza altrui, che verrà qualcun altro, un supereroe di sorta, a risolverli, a combattere le nostre battaglie, a fare il lavoro sporco. Perché? Perché noi non siamo abbastanza bravi, abbastanza forti, abbastanza ricchi…».

Govoni racconta la sua esperienza personale con un’insegnante che gli diceva di essere un fallito e un incapace, ma poi, spiega, «ne ho incontrata un’altra, di prof. “Credo in te,” mi ha detto. “Sei meglio di così. Puoi farcela.” Il suo nome è Nicoletta, e mi ha cambiato per sempre la vita. È grazie a lei che ho trovato il coraggio di lasciare tutto e partire per l’India come volontario. Laggiù, circondato da venti orfani, ormai dodici anni fa, ho scoperto la mia chiamata. Esserci. Essere in prima linea. Essere quello che ci prova, anche quando chiunque altro mollerebbe. Essere fiducioso che il mondo si possa cambiare davvero. Esserci. Restare. Dedicare la vita. Come disse un uomo ben più saggio di me, “Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”. Avevo vent’anni. Oggi, di anni, ne ho trentadue. Ho fatto di quella chiamata la mia missione di vita. Ho aperto Scuole tra Grecia, Siria, Kenya, Congo, Yemen e Colombia. Il segreto», conclude, «sta tutto qui: trovate qualcosa che vi riempia il cuore, e dedicategli la vita. È così che capirete la cosa più importante: il supereroe che vi hanno insegnato ad aspettare, quello forte e bravo e capace abbastanza da risolvere i problemi del mondo, non arriverà mai. È già qui».




L’ultima testimonianza è quella che arriva dal Patriarca di Gerusalemme, il cardinale Pierbattista Pizzaballa, che in un videomessaggio accolto da un lungo e commosso applauso della piazza racconta la drammatica situazione in Medio Oriente, a cominciare dalla Striscia di Gaza: «Mi è stato chiesto di dire una parola dalla Terra Santa: il primo degli Apostoli, San Pietro, è partito proprio da qui, per arrivare a Roma, comunicare il messaggio e l’esperienza di Cristo a tutto il mondo e custodire la fede nella Chiesa», dice Pizzaballa, «stiamo vivendo, qui in Terra Santa, un momento molto complesso, molto difficile: le morti non si contano, la mancanza dei medicinali, la mancanza di cibo, la fame non sono una teoria, sono una realtà concreta che colpisce direttamente migliaia e migliaia di persone in maniera inimmaginabile. Tutto sembra parlare di morte, di odio, di distruzione, di violenza, sembra una notte che non finisce mai. Purtroppo la notte, l’oscurità, sembra veramente essere il criterio di riferimento per molti. Però è importante anche dire una parola di fede, avere uno sguardo di fede, uno sguardo libero che non parta solo dal dolore: il dolore c’è e non lo possiamo negare e dobbiamo esserci, essere dentro quelle situazioni di dolore, per portare conforto e consolazione. Quindi non possiamo negare l’evidenza, ma non possiamo fermarci al dolore. Abbiamo bisogno di questo sguardo di fede che ci aiuta a ritrovare, a vedere dentro questa notte interminabile, i punti di luce».

Ma la Terra Santa non è solo un sudario di sangue e di morte, di dolore e miseria ma anche speranza, luce, amore concreto: «Sono tantissime le persone che, ancora oggi, a Gaza, in Israele, in tutta la Terra Santa, sono pronte a dare la vita per l’altro, a mettersi in gioco, rischiando la propria vita perché a Gaza è pericoloso uscire per strada e in Israele fare qualcosa a sostegno di Gaza non è sempre compreso e, quindi, si va incontro a tante incomprensioni», scandisce Pizzaballa, «sono tante le persone che, in questo mare incredibile di sfiducia e di odio, sono ancora capaci di mettersi in gioco per fare qualcosa per l’altro, perché credono nell’altro e non si arrendono a questa situazione di “io e nessun altro”, ma puntano sul “noi insieme”. Questo è il futuro della Terra Santa, lo si voglia o no: tutti resteremo qui, tutti dovremo trovare un modo per ricominciare e per riprendere. Le persone, che danno la vita, rendono la presenza e la consolazione di Dio concreta e visibile attraverso la loro testimonianza, attraverso i sacerdoti, con i Sacramenti, attraverso i tanti volontari delle varie associazioni, cattolici e non cattolici, di tutte le fedi. Non dimentichiamo che il primo saluto del Risorto è “pace a voi”. Questo Risorto oggi lo vediamo nelle tante persone che ancora credono che la pace non sia un miraggio o solo uno slogan, ma qualcosa di concreto che si può costruire. Tutti insieme, ciascuno nel proprio contesto, dobbiamo diventare operatori di pace, capaci di dire con il Risorto: la pace sia con voi. Una pace che non è solo un augurio, ma è vita vissuta e sperimentata. Qui è ancora possibile, sono certo che lo sia in Italia o ovunque, basta volerlo, basta crederci e mettersi in gioco, come tanti uomini e donne di ogni tempo e ovunque, anche in Terra Santa».

Mr Rain canta Supereroi, la canzone dove cita don Tonino Bello sugli angeli con un’ala soltanto che per volare hanno bisogno degli altri.