Giovedì 2 giugno 2016. Un momento del Giubileo dei sacerdoti. Tutte le fotografie sono dell'agenzia Ansa.
È stata una
full immersion nella
Misericordia quella che ho vissuto giovedì 2 giugno per il
Giubileo dei sacerdoti, nella
Basilica di San Giovanni in Laterano,
in mezzo ai sacerdoti di Roma – parroci, amministratori
parrocchiali, cappellani, seminaristi – e in comunione con i
sacerdoti provenienti da tutta la penisola italiana, riuniti nella
Basilica di Santa Maria Maggiore, e quelli giunti da tutto il mondo,
che hanno riempito la
Basilica di San Paolo fuori le Mura.
Le tre meditazioni di Papa
Francesco non mi hanno lasciato scampo:
io sono il figlio che si è
allontanato dalla casa del Padre, che ne sente nostalgia e che non fa
in tempo nemmeno a lavarsi (sono parole di Papa Francesco) che si
vede vestito a festa. C’è, deve esserci, questa tensione feconda
tra miseria e dignità, nella quale sono posto dalla Misericordia
“esagerata” di Dio. È Lui, è il cuore di Cristo – sede della
ineffabile Misericordia divina - che mi veste a festa, rendendomi la
dignità di figlio anche se “sporco e pieno di vergogna”. Sono
frastornato. Posso sentirmi – e sono – fragile, meschino,
egoista, e, a un tempo, sono chiamato ed eletto.
Don Vincenzo Marras, sacerdote della Società San Paolo, già direttore del mensile Jesus.
Ed è vero: solo la
Misericordia rende sopportabile questa tensione. Per questo la
Misericordia è non tanto un elemento, ma è l’elemento costitutivo
della mia vita.
E tutto questo – mi ha
ricordato senza giri di parole papa Francesco – ha delle
conseguenze: perdonato sono chiamato a perdonare, meglio ancora per
usare i neologismi coniati dal Papa, “misericordiato” non posso
che “misericordiare”. Altro che “passare alla dogana” e di un
“funzionario” che analizza il “caso”, sciaguratamente anche
“con curiosità”. Sono – devo essere – solo e sempre “segno
e strumento”. Non c’è davvero un’altra possibilità per il
sacerdote: o sei misericordioso o non sei sacerdote.
Ogni storia, la mia storia è una
storia di misericordia.
Impossibile per me – sacerdote paolino,
chiamato a servire il popolo di Dio nella parrocchia Gesù Buon
Pastore – non evocare le parole del beato don Giacomo Alberione,
fondatore della Famiglia Paolina, che parlando di se stesso in terza
persona amava dire che la storia della sua vita non era altro che il
racconto delle sue fragilità e delle infinite misericordie di Dio.
Le parole di Papa – che, mentre evocava i santi che hanno ricevuto
misericordia (san Paolo, san Pietro, san Giovanni, sant’Agostino,
san Francesco, sant’Ignazio), rimandavano a quanto Gesù ha fatto
con il lebbroso, con la Samaritana, con la donna adultera, e ha detto
con le parabole del Padre buono, del Samaritano, della pecorella
smarrita – mi fanno tornare spontaneamente sulle labbra una
preghiera che quotidianamente apre la mia giornata: “Concedimi,
Signore, di essere accogliente luogo d'incontro tra il tuo perdono e
i miei fratelli”.
Don Vincenzo Marras,
sacerdote paolino,
parrocchia Gesù Buon Pastore, Roma,
già direttore del mensigle Jesus