Cercare,
includere, gioire. Tre verbi, tre azioni che papa Francesco consegna
ai sacerdoti a conclusione del loro Giubileo, nella celebrazione
conclusiva in piazza San Pietro. Tre verbi che fanno sintesi delle
parole di Francesco ai preti, e che hanno una domanda iniziale alla
quale bisogna rispondere: “In mezzo a tante attività permane la
domanda: dov’è fisso il mio cuore, dove punta, qual è il tesoro
che cerca?”. Un cuore, afferma il Papa, che deve “essere trafitto
dall’amore del Signore”: non un “cuore ballerino che si lascia
attrarre dalla suggestione del momento o che va di qua e di là in
cerca di consensi e di piccole soddisfazioni”; ma un cuore saldo
nel Signore, “aperto e disponibile ai fratelli”.
L’immagine
è quella del buon pastore che va a cercare – ecco il primo verbo
che Francesco consegna ai sacerdoti – la pecora smarrita: “senza
farsi spaventare dai rischi; senza remore si avventura fuori dei
luoghi del pascolo e fuori degli orari di lavoro”. Nella sue
riflessioni tenute nelle tre basiliche romane e in modo particolare
nella terza a San Paolo fuori le mura, il Papa ha più volte messo l’accento
sulla disponibilità all’ascolto, anche se questo costa fatica: ha
raccontato di aver conosciuto sacerdoti “che, quando non c’era la segreteria
telefonica, dormivano con il telefono sul comodino, e nessuno moriva
senza i sacramenti; chiamavano a qualsiasi ora, e loro si alzavano e
andavano”. È l’immagine del buon pastore, il cui cuore “è
inquieto finché non ritrova quell’unica pecora smarrita”; e una
volta ritrovata “dimentica la fatica e se la carica sulle spalle
tutto contento”.
Lo
ripete nella sua omelia in piazza San Pietro: il cuore del pastore
“non privatizza i tempi e gli spazi, non è geloso della sua
legittima tranquillità, e mai pretende di non essere disturbato”.
Ancora, ha il cuore libero e “non vive rendicontando quello che ha
e le ore di servizio; non è un ragioniere dello spirito, ma un buon
Samaritano in cerca di chi ha bisogno”. Il prete per Francesco è
un “ostinato nel bene”, non solo tiene le porte aperte “ma esce
in cerca di chi per la porta non vuole più entrare”.
Includere
è il secondo verbo che Francesco consegna ai preti: nessuno deve
essere estraneo, è “unto per il popolo, non per scegliere i propri
progetti, ma per essere vicino alla gente”. Includere significa
accogliere senza distinzioni, senza disprezzare nessuno, ed essere
pronto a sporcarsi le mani per tutti: “il buon pastore non conosce
i guanti”. Di più, “non si aspetta i saluti e i complimenti
degli altri, ma per primo offre la mano, rigettando i pettegolezzi, i
giudizi e i veleni”… “Non sgrida chi lascia o smarrisce la
strada”.
Al
convegno ecclesiale di Firenze, Francesco tirò fuori la figura di
don Camillo e disse: “mi
colpisce come nelle storie di Guareschi la preghiera di un buon
parroco si unisca alla evidente vicinanza con la gente. Di sé don
Camillo diceva: ‘sono un povero prete di campagna che conosce i
suoi parrocchiani uno per uno, li ama, che ne sa i dolori e le gioie,
che soffre e sa ridere con loro’. Vicinanza alla gente e preghiera
sono la chiave per vivere un umanesimo cristiano popolare, umile,
generoso, lieto. Se perdiamo questo contatto con il popolo di Dio
perdiamo in umanità e non andiamo da nessuna parte”.
Infine
il terzo verbo gioire. La gioia del sacerdote nasce “dal perdono,
dalla vita che risorge, dal figlio che respira di nuovo l’aria di
casa”. Non è una “gioia per sé, ma è una gioia per gli altri e
con gli altri”.
Tre
verbi che si possono combinare bene con i tre verbi che pronunciò
nella Cappella Sistina il giorno dopo la sua elezione: camminare,
edificare, confessare. A ben guardare già allora c’era in
nuce tutto
questo; Francesco disse che “nel camminare, nel costruire, nel
confessare, a volte ci sono scosse, ci sono movimenti che non sono
proprio movimenti di cammino, ma che ci tirano indietro”. Ma il
pastore non ha paura: “la tristezza per lui non è normale, ma solo
passeggera; la durezza gli è estranea, perché è pastore secondo il
cuore mite di Dio”. Con pazienza “ascolta i problemi e accompagna
i passi delle persone”.