La mente legale di Doppia Difesa è
affilata nelle battaglie sociali quanto
nei processi che vince (ricordiamo,
per tutte, le difese di Giulio Andreotti
e di Raffaele Sollecito). L’avvocato
Giulia Bongiorno conobbe Michelle
Hunziker quando quest’ultima, perseguitata
da uno stalker, le si rivolse per
avere assistenza legale. Diventarono
amiche e nel 2007 fondarono insieme
Doppia Difesa, per aiutare le vittime di
violenza e stalking, che quasi sempre
sono donne. Ora, insieme hanno scritto un libro, Con la scusa dell’amore
(Longanesi), nel quale raccontano di
sé, ma soprattutto spiegano molto della
loro fondazione e delle storie di donne
drammatiche, persino tragiche che
hanno incrociato.
Avvocato Giulia Bongiorno, perché
questo libro?
«Perché una delle armi per combattere
la violenza, secondo noi è la comunicazione:
il nome Doppia Difesa indica
la possibilità di difendersi dalla violenza
sia con la difesa legale sia con la comunicazione.
Ecco perché c’è un legale
accanto a un’artista televisiva. Parlare
della violenza consente di combatterla
perché noi riteniamo che le sue radici
non risiedano nella follia, nei raptus,
ma in una discriminazione occulta verso
le donne, e in una società come la nostra
dove vige ancora una cultura fortemente
paternalistica, nel senso negativo
del termine. La chiave di lettura del
libro è che per noi la violenza non è in
primo luogo un problema di ordine
pubblico, ma è principalmente un problema
culturale che nasce dalla disuguaglianza.
Ecco perché, siccome in Italia
la disuguaglianza esiste soprattutto nei
confronti delle donne, normalmente sono
loro oggetto di violenza. Ciò non significa
che non abbiamo rispetto di tantissimi
uomini, che anzi combattono la
violenza. Però, anche tra di loro non tutti
sono disponibili, ancora oggi, ad affrontare
il tema della disuguaglianza».
All’inizio della sua carriera, pure lei
ha affrontato discriminazioni...
«Considerato che vivevo a Palermo e
il mio lavoro era da penalista, i clienti
erano di tutti i tipi, anche accusati per
associazione di stampo mafioso. Lì bisognava
farsi vedere veramente forti. Io
cercavo, già nel primo incontro, di essere
strapreparata, di aggredirli con le nozioni
e dimostrare loro che conoscevo
ogni parola di ogni verbale. La chiamavo
“tecnica del pugno in faccia”: quando
vedevano questa ragazzina dietro la
scrivania, dovevo colpirli con una serie
di prove sulla mia preparazione, prima
che potessero rendersi conto che ero
donna e piccolina».
L'intervista integrale a Giulia Bongiorno è nel numero in edicola di Famiglia Cristiana.