Quando entriamo in casa sua a Milano, Giulia Lazzarini, un gigante del teatro, attrice da sempre al fianco di Giorgio Strehler e David di Donatello come attrice non protagonista per Mia madre di Nanni Moretti, non si dà pace. Pensava che alla sua età le lacrime si fossero completamente asciugate: «Mi dicevo, ormai non piango più» e invece si è dovuta ricredere.
«Davanti all’ennesimo sbarco di questa mattina e quelle immagini al telegiornale... Non ho mai visto tanti uomini galleggiare. Un grappolo di persone che annaspavano perché qualcuno non sapeva nuotare; 500, o forse 700, dicevano, perché ormai 200 in più o in meno non fanno differenza... Ho pianto e mi sono detta: come si fa ad aver smarrito questo spirito di misericordia? Che non è compassione ma è molto di più. È il cuore che si spezza dal dolore e, invece, noi siamo indifferenti».
Giulia l’11 giugno alle 17 (e poi in replica dal 12 al 16 giugno alle 21) al Teatro LabArca di Milano andrà in scena con “Matermundi, in ricordo di Madre Cabrini”, lo spettacolo messo in scena da Anna Bonel e scritto da Egidio Bertazzoni, incardinato sulla figura di madre Francesca Saverio Cabrini di cui si mettono in luce il coraggio, la misericordia, appunto, la pietas e la sua visionarietà, per cui «le cose vere che si sognano, a crederci fortemente diventano vere».
«Il racconto di una rimozione», come spiega Anna Bonel, «quella dell’emigrazione italiana da fine ’800 agli anni ’50. Lo spunto per ragionare su quelle odierne e quotidiane: ricordarle ci consente uno sguardo e un’accoglienza diversi, perché migranti siamo tutti e chi chiede asilo partecipa a un destino e a una storia comuni».
MIGRANTI DI IERI E DI OGGI
«Noi, loro, quegli stessi che si sono riversati in mare questa mattina», continua Giulia. «Nient’altro che l’umanità che vuole salvarsi, che non vuole morire. Che cosa posso fare io? mi chiedo davanti a quelle immagini. “Tutto posso in Colui che mi dà forza”, ripete la Cabrini citando san Paolo, perché tutti possiamo fare qualcosa ed è facendo quel qualcosa ognuno che si può fare tutto».
Madre Francesca Saverio Cabrini è una delle sante e donne più innovative del ’900 che, dopo aver attraversato 28 volte l’Oceano Atlantico tra il 1889 e il 1912, ha lasciato più di 60 opere educative, ospedaliere e assistenziali sparse tra Stati Uniti, America latina ed Europa. Sogni, lavoro e concretezza lombarda della piccola “suora con la valigia” in cui Giulia si identifica, dandole voce nello spettacolo e per alcuni tratti tipici della sua personalità. Lei che ha vissuto per il teatro e che, faticosamente ma con tenacia, è riuscita a conciliare la sua vita lavorativa, la figlia Costanza e l’accudimento dei genitori novantenni.
«Sono stata conquistata dal percorso di questa donna che ha fatto delle cose enormi con grande generosità, coraggio e piglio ma, soprattutto, convinta che sarebbe andato tutto bene. Con quel talento inesauribile e quella megalomania rivolta al prossimo; più di una volta mi sono ritrovata a pensare che mi sarebbe piaciuto vivere come lei».
Insieme a Giulia in scena anche Enrico Bonavera, nei panni dello Zanni di Bergamo per raccontare il suo viaggio sul Po e quel tragico epilogo quando, sul punto di morire per mano della sua Rosina, guardando i pesci dice: «Meglio morire così che di fame»; Franco Sangermano, a dar voce ai testi dell’arcivescovo di Piacenza, Giovanni Battista Scalabrini, il primo a essersi preoccupato dell’emigrazione italiana, e alcuni giovani migranti, anche di seconda generazione, dell’Istituto comprensivo di via Pareto, che abitano nelle periferie di Milano e hanno aderito al progetto Pericentro/Matermundi. «Loro sono il coro», commenta Giulia, «restituiscono i volti a quella stessa umanità che ho visto affondare questa mattina».
Giulia non si rassegna a questo momento storico: «Mi ha deluso, mi aspettavo di più. È inaccettabile vedere la gioventù che viene buttata via perché non ha una partecipazione alla vita dell’oggi e perché non vede un domani. Costanza per fortuna ha studiato Antropologia a Londra e oggi lavora per le Ong, facendo comunque qualcosa che riguarda la “funzione del teatro” ovvero “dire qualcosa agli altri”».
UN MAESTRO IN SCENA E NELLA VITA.
«Strehler diceva: “Noi siamo per un teatro umano perché l’uomo ascolti e capisca”. Aggiungeva anche: “Non importa che capiate, ascoltatemi”. Capire arriva dopo, attraverso quell’esperienza interiore che tutti dobbiamo fare che ti fa prendere coscienza di ciò che vivi. Così come sono contenta che i miei tre nipoti siano là perché qui non avrebbero fatto molto. Costanza stessa avrebbe fatto volontariato non retribuito, mentre la sua è una professione».
Giorgio Strehler che entra e si mescola nelle sue parole, maestro di vita e di teatro. «Insegnandomi a stare sul palcoscenico mi ha insegnato la compagine. L’amicizia, la fedeltà, l’orgoglio e l’umiltà. L’ubbidienza». Non è un caso che nel cuore di Giulia, in scena da più di sessant’anni, ci sia proprio il ruolo di Clarice interpretato nell’“Arlecchino” per il quale Strehler la scelse per debuttare al Piccolo Teatro di Milano (che quest’anno compie settant’anni) e che interpretò dal 1952 al 1986. «Uno spettacolo che amo moltissimo perché gioioso. È come entrare in un girotondo».
Giulia, minuta ed eterea, capace di una stupefacente forza drammatica. Come nel film di Nanni Moretti Mia madre, dove interpreta la mamma del regista. «L’esperienza con Nanni resta indimenticabile. Ricordo ancora il provino per la parte e la risposta che si è fatta attendere più di un anno. La paura non per il ruolo, ma perché quel ruolo doveva essere somigliante interiormente a sua madre. Nanni si è rivelato un uomo gentile e delicato. Il David di Donatello? Non me l’aspettavo. Per il teatro ho vinto molti premi – Duse, Simoni, Flaiano – ma questo nel cinema era un punto di arrivo, per me che avevo fatto il Centro sperimentale di Cinematogra a di Roma. Quando hanno fatto il mio nome non sapevo come fare le scale. Arrivata in cima sono riuscita a dire solo... “Sono felice!” con tre “i” e cinque “e” , e ho ringraziato Moretti».