A quasi 96 anni la fondatrice del Fai, Giulia Maria Crespi, debutta nella letteratura per l’infanzia con il libro Le storie di Anna, la bambina che non diceva mai le bugie, edito da Salani. Una serie di racconti ambientati nel prato di Zelata che hanno per protagonista una bambina dolce e intraprendente, che vive da sola in una grande casa e conosce il linguaggio degli animali. Storie che pongono al centro della narrazione l’amore per la natura e per tutte le sue creature. Gli stessi temi hanno animato la vita di Giulia Maria Crespi, che si è sempre battuta prima con Italia nostra e poi con il Fai (Fondo ambiente italiano), per la salvaguardia dell’ambiente nel nostro Paese. Ci riceve nella sua casa nel centro di Milano: stucchi e affreschi sui soffitti, quadri preziosi alle pareti, scaffali di libri antichi e un bel cane lupo dallo sguardo dolce accoccolato sul tappeto.
Che cosa l’ha spinta a pubblicare questo libro proprio adesso?
«Sono le storie che raccontavo ai miei sette nipoti quando erano piccoli, sono loro che hanno insistito perché le scrivessi e le pubblicassi. E le illustrazioni sono di mia nipote Sofia Paravicini. Ci sono i temi a cui ho dedicato la vita: la protezione dell’ambiente, la bellezza della natura, la preziosità degli insetti come le api e le formiche. Io trovo che la natura consoli sempre».
In un racconto si parla di un’alluvione. Che cosa pensa delle emergenze climatiche del nostro Paese?
«L’uomo ha una grande responsabilità in quanto sta accadendo. Per esempio costruisce negli alvei dei fiumi e poi si stupisce se le case sono abbattute dalle piene. Ma la cosa che mi indigna maggiormente è ciò che viene fatto agli alberi».
Quando lei lavorava a Italia nostra la tutela della natura non era ancora così sentita...
«Io ho sempre adorato la natura. Sono nata in campagna. Ancora adesso è lì che trovo rifugio dal caos e dall’inquinamento di Milano».
È cambiato l’atteggiamento nei confronti dell’ambiente?
«Forse per la sensibilità della gente, ma non certo per i politici. In genere non capiscono che il futuro del nostro Paese non sarà nelle mani delle aziende ma risiederà, invece, nella gestione della bellezza, nell’arte e nella natura che sono uniche al mondo».
Quando è nata la sua azienda biodinamica, la Zelata?
«Nel 1974 il mio medico mi mandò in Svizzera in una clinica che curava il cancro con la medicina naturale e lì scoprii che cosa vuol dire per il fisico il cibo che si mangia e quali danni possono portare i diserbanti e gli anticrittogamici. E allora cominciai a trasformare in senso biologico e biodinamico la nostra azienda, usando per esempio come concime il letame. Tuttora purtroppo la biodinamica in Italia viene attaccata mentre all’estero non è così. E a chi mette in discussione la medicina alternativa io posso portare la mia esperienza: ho avuto il cancro sei volte e sono sempre guarita senza aver mai fatto la chemioterapia».
Lei è stata forse la prima donna ad avere la proprietà di un giornale, il Corriere della Sera...
«Io non volevo, non ero stata educata per quello. Ma poiché mio marito era morto e mio padre non aveva figli maschi ho dovuto farlo. Andai completamente digiuna e feci degli errori. Entrai al Corriere nel 1960 e ci rimasi fino al 1974. Sono stati anni affascinanti, inebrianti, anche se dovetti dedicare troppo poco tempo ai miei due figli».
Ci furono anche tante polemiche…
«Mi hanno sempre attaccato. Montanelli disse che ero “sottosviluppata e mongoloide”. Avevo chiaramente in testa come doveva essere un quotidiano. Ho allontanato Spadolini, che pure era un mio amico, perché stava sempre al telefono con i ministri. Ho fatto diventare direttore Piero Ottone, la sua visione giornalistica era di stampo anglosassone, molto obiettiva, alla ricerca della verità, fuori dai meccanismi del potere. E per questo mi fecero fuori».
Dopo si è dedicata al Fai?
«Dopo averlo lasciato il Corriere fondai il Fai nel 1975 e a esso ho dedicato gran parte del mio impegno, sempre animata dall’amore per la natura che ho poi messo anche nelle mie fiabe».