Guai a definirlo eroe. Giuseppe
Antoci, 48 anni, il coraggioso
presidente del Parco
dei Nebrodi sopravvissuto
miracolosamente a un agguato
mafioso, ci tiene a
essere presentato come un cittadino
normale che svolge il proprio dovere.
Eppure, non dimenticherà mai la
notte tra il 17 e il 18 maggio quando,
nei tortuosi tornanti dei Nebrodi, tra
Cesarò e San Fratello, nel cuore della
provincia di Messina, un commando
ha bloccato la sua auto con massi che
ostruivano la carreggiata, assaltandola
a colpi di fucile.
Il piano degli aggressori è fallito
grazie al pronto intervento degli
agenti della scorta e del vicequestore
Daniele Manganaro, commissario
di Sant’Agata di Militello, che viaggiava
in un’altra autovettura. Abbiamo
intervistato Giuseppe Antoci nelle
stesse ore in cui la polizia eseguiva
gli ordini di custodia cautelare disposti
dal procuratore capo di Messina,
Guido Lo Forte, contro ventitré presunti
esponenti del clan di Tortorici,
accusati di associazione mafiosa ed
estorsione.
Come ha vissuto i momenti
drammatici del fallito attentato?
«Era notte, stavo riposando, mi ero
assopito dopo una serata di impegni
istituzionali. Ho avvertito prima il
tonfo di forti sassate contro la mia automobile
e, poi, il rumore degli spari. A
quel punto il caposcorta mi ha spinto
a terra sotto il sedile per proteggermi
e insieme all’autista, dopo l’arrivo di
Manganaro, ha reagito al fuoco degli
assalitori, attrezzati anche con due
bombe molotov».
Come si è salvato? Cos’ha pensato
in quei frangenti?
«Per fortuna è giunta la seconda
auto, il Suv del vicequestore Manganaro,
che mi seguiva. Quando gli agenti
hanno aperto il mio sportello, pensavo
che si trattasse degli assalitori, ero
convinto che fosse finita e aspettavo
il colpo di grazia. Immaginate, quindi,
il mio sospiro di sollievo e la mia gioia
quando ho compreso che si trattava
dei poliziotti e di Manganaro».
Senza quel provvidenziale intervento
sarebbe stata una strage, esattamente
a cinquant’anni di distanza
dall’omicidio di Carmelo Battaglia,
assessore socialista del vicino Comune
di Tusa. Battaglia, infatti, fu ucciso
nella primavera del 1966 dopo che,
con la sua cooperativa, aveva acquistato
terre per contrastare la maa
dei pascoli e i latifondisti…
«Poche settimane prima del mio
fallito attentato ho partecipato proprio
alle manifestazioni in onore
dell’eroico sindacalista Carmelo Battaglia.
Mezzo secolo fa, però, la mafia
era feudataria; oggi si è evoluta e ha
trasferito i suoi interessi nell’utilizzo
dei fondi europei».
Quali interessi ha colpito?
«Per molto tempo le cosche siciliane
si sono spartite legalmente miliardi
di fondi europei, partecipando
ai bandi con esponenti di spicco
dei clan che alteravano la normale
concorrenza di mercato. L’Europa,
dunque, stava di fatto finanziando la
mafia. Per questo motivo, come presidente
del Parco dei Nebrodi – su input
del questore, Giuseppe Cucchiara – ho
firmato un importante protocollo con
il prefetto di Messina Stefano Trotta,
che ha ristabilito la certificazione
antimafia obbligatoria. Una cosa ovvia,
ma mai richiesta per i terreni che
avevano una base d’asta inferiore a 150
mila euro. Risultato? La Regione Sicilia
ha scoperto che migliaia di ettari dei
suoi terreni erano in mano a soggetti
riconducibili a famiglie di Cosa nostra,
boschi e pascoli affittati da decenni a
personaggi vicini ai clan».
Qual è stata la reazione dei suoi
familiari?
«Un’alternanza di sentimenti: rabbia
e paura per l’agguato, ma anche
felicità per il fatto che mi sono salvato.
La mia famiglia è sempre stata al mio
fianco, appoggiando e condividendo le
mie battaglie».
Cosa dice della solidarietà ricevuta
durante la manifestazione del 21
maggio? Di fronte a migliaia di partecipanti,
uno dei promotori, Vito Lo
Monaco, presidente del Centro Pio La
Torre, ha parlato di data storica e di
“rivolta dei Nebrodi”…
«La mobilitazione delle coscienze
e l’allegra confusione dei manifestanti
ha coperto il fragore degli spari e mi ha
dato la forza per proseguire la lotta. Mi
viene in mente la ribellione antiracket
dei commercianti di Capo d’Orlando
nei primi anni Novanta».
Come giudica la risposta dello
Stato, tra inchieste, arresti e solidarietà
della politica e delle istituzioni?
«Lo Stato è presente e non indietreggia
di fronte alla mafia: dall’attività
antiriciclaggio della Guardia di finanza alle operazioni di Polizia e
Carabinieri, fino alle inchieste delle
Procure di Messina e Reggio Calabria.
Di notevole importanza anche la riunione
della Commissione nazionale
antimafia a Sant’Agata di Militello.
Infine, ringrazio quanti mi hanno
espresso solidarietà, a partire dai
presidenti Grasso, Boldrini, Renzi e
Crocetta».