“Avvocato del popolo” si è definito Giuseppe Conte, con qualche vanità rivoluzionaria alla Saint Just, il docente universitario di diritto amministrativo indicato da Matteo Salvini e Luigi Di Maio a presiedere un governo gialloverde Lega-Cinque Stelle. Un “equilibrista”, ha scritto il Fatto, quotidiano di riferimento dei grillini. O piuttosto un “re travicello”, come hanno ipotizzato in molti?
I due segretari di Lega e Cinque Stelle si accingono ad assumere l’incarico di importanti dicasteri: gli Interni per Salvini e il Lavoro per Di Maio (sempre che il presidente della Repubblica sia d’accordo). Si viene a creare così una situazione inedita per i 65 governi della Repubblica: un esecutivo in cui a comandare è una diarchia di ministri e non il premier. Un governo atipico, “antisistema” con margini di manovra molto risicati per chi lo guida.
Conte infatti è un tecnico, privo di qualsiasi supporto politico, a capo di un governo politico, la cui maggioranza è composta dai due partiti vincitori delle elezioni. Quale forza avrà Conte a opporsi ai “consigli” (ma sarebbe meglio definirli “diktat”) della diarchia Di Maio-Salvini?
Si dirà che sono le regole della democrazia, previste dalla Costituzione e che soprattutto l’Italia ha una lunga tradizione di governi “tecnici” (Carlo Azeglio Ciampi, Lamberto Dini, Mario Monti). Ma si trattava di personalità di alto profilo, in gran parte provenienti dalla “riserva nobile” della banca d’Italia, sotto la protezione del Capo dello Stato, i cui poteri, come prescrive la Costituzione, sono a “fisarmonica”, in grado di imporsi sul sistema parlamentare in caso di necessità, vale a dire quando non si profila un accordo politico tra i partiti per formare una maggioranza di governo. Il governo “tecnico” spesso è stata la soluzione all’incapacità delle forze politiche di creare una maggioranza. Ma qui abbiamo un governo “politico” guidato da un “tecnico” (un “politecnico” qualcuno ha ironizzato)
Dunque possiamo dire che Giuseppe Conte è un uomo solo al comando, nel senso della solitudine. Il suo è un sentiero stretto, strettissimo, sottoposto ai diktat di Di Maio (a sua volta sottoposta al duo Grillo-Casaleggio e nient’altro) e a quelli di Salvini, con un programma che desta non poche preoccupazioni sul piano dei provvedimenti sull’immigrazione e le coperture di spesa inesistenti, che ci vedrebbero costretti a “sforare” sui conti e a violare i trattati europei sui limiti di budget, uscendo dall’Europa. Saprà farsi valere “l’avvocato del popolo” o soccomberà ai suoi due giudici?