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venerdì 04 ottobre 2024
 
il film di pupi avati
 

Giuseppe Sgarbi e la sua Rina: «Lei non c’è più ma il nostro amore vive ancora»

06/02/2021  L’intervista del 2017 a Giuseppe Sgarbi che incontrammo nella sua casa di Ro Ferrarese in occasione dell’uscita del libro “Lei mi parla ancora” dedicato alla moglie Rina Cavallini, scomparsa nel 2015 dopo 65 anni di matrimonio insieme. Da questo memoir, il regista Pupi Avati ha tratto un film, su Sky dall’8 febbraio. A interpretare Sgarbi senior è Renato Pozzetto mentre Stefania Sandrelli è la moglie

Ripubblichiamo l’intervista del 2017 a Giuseppe Sgarbi che incontrammo nella sua casa di Ro Ferrarese in occasione dell’uscita del libro Lei mi parla ancora dedicato alla moglie Rina Cavallini. Da questo memoir il regista Pupi Avati ha tratto il film, su Sky dall’8 febbraio, dove nei panni di Sgarbi senior c’è Renato Pozzetto e in quelli della moglie Stefania Sandrelli.

 

L’«altro» Sgarbi, quello che non t’immagini, è gentile, docile, dalla risata tenera e arguta. Giuseppe detto Nino, farmacista, papà di Vittorio (notissimo e vulcanico critico d’arte) ed Elisabetta (affermata editrice e fondatrice de La Nave di Teseo), è rimasto quasi “nascosto” per ben 92 anni. Giunto ai 93, ha esordito come scrittore con Lungo l’argine del tempo, edito da Skira con le postfazioni dei figli. Poi, due anni fa, ha pubblicato Non chiedere cosa sarà il futuro. Ma il libro «che sento più mio», dice subito, è Lei mi parla ancora, una lunga lettera alla moglie Caterina “Rina” Cavallini scritta dopo il suo addio, un anno e mezzo fa.

All’amata Rina, con la quale in 65 anni di matrimonio ha diviso la guerra, la ricostruzione, una farmacia tuttora attiva a Ro Ferrarese, l’alluvione del Polesine, due figli, l’allestimento di una casa-museo, dedica parole che a leggerle solo i duri di cuore possono trattenere le lacrime: «Mi fermo qui, nel senso che non voglio fare più niente di nuovo. È molto meglio rileggere qualcosa, piuttosto che provare a scrivere pagine nuove, che non sarebbero altro che la brutta copia di quelle che abbiamo scritto insieme. Tornare indietro non mi dispiace. In fondo è un po’ come ritrovarti. È andare avanti che non mi interessa. Non più. Non senza di te. Il passato va bene, perché nel passato ci sei anche tu. Di un futuro nel quale tu non ci sei, invece, non so davvero cosa farmene».

Una foto di Giuseppe Sgarbi e Rina Cavallini nella loro casa di Ro Ferrarese (foto Ugo Zamborlini)

Nella casa di mattoni rossi di Ro Ferrarese, duemila anime nella Bassa trafitta dalla nebbia, Giuseppe Sgarbi siede in salotto con piglio da principe rinascimentale: «Quello», dice indicando uno specchio d’antica e pregiata fattura, «l’avevo comprato e sistemato io. La Rina era così contenta».

In fondo, questo mini Louvre in riva al Po aiuta a capire meglio di qualsiasi altra cosa l’universo sgarbiano: quattromila opere d’arte stipate ovunque, anche sulle scale, un tripudio di bellezza che ti travolge tra dipinti, sculture e la luce radente che, alle spalle del padrone di casa, illumina il volto dell’appestato che riceve la comunione da San Carlo Borromeo. «Per comprare quel quadro la Rina corse a Roma», ricorda il marito.

Lo spirito della Rina aleggia ancora, eccome, tra queste mura protette da una siepe e collegate alla farmacia di famiglia che dà sulla piazza del paese. «Gran parte delle opere che sono qui le prendeva lei dietro richiesta di Vittorio», ricorda Giuseppe. Per anni, infatti, la signora Rina si attaccava al telefono nel salotto dove ora è seduto il marito, e negli orari più impensabili ingaggiava battaglie leggendarie per strappare all’asta quel Guido Reni o quel Guercino. Sui (pochi) spazi liberi delle pareti, campeggiano incorniciati gli articoli scritti da Vittorio, le interviste a Elisabetta, anche una pergamena con la foto di «Sua Santità Francesco» che «imparte l’implorata benedizione apostolica» ai coniugi e ai loro due figli.

Giuseppe Sgarbi con il libro dedicato alla moglie (foto Ugo Zamborlini)

«Lei mi parla ancora. Visto, che bel titolo? L’ho scelto io», dice Giuseppe con una punta di civetteria. E non è, s’intende, solo un titolo. «Tutte le mattine vado al cimitero a Stienta e parlo con mia moglie», assicura, «le leggo le cose scritte sui giornali da Vittorio ed Elisabetta, pensando e immaginando che lei possa ascoltarmi e darci un aiuto da lassù». Fa una breve pausa, poi riprende: «Io sono credente, c’è qualcosa oltre questa vita, anche se nessuno può provarlo». Come me lo immagino questo incontro con la Rina? «Sarà un giorno di gran luce, di felicità. Non serviranno più le parole, prevarrà l’entusiasmo perché torneremo di nuovo ad abbracciarci».

Nel frattempo, le parole servono ancora per rievocare «un amore che vive anche adesso che tu non vivi più», come ha scritto Giuseppe che ora si consola col Pignoletto (orfano, a tavola, della sua compagna di succo all’albicocca), coi poeti amati, coi figli adorati, e con il racconto della sua vita. «Il Po», ricorda, «mi ha cresciuto fin da piccolo: l’ho visto quando era alto, poi basso da poterlo attraversare a piedi. E quando si stava mangiando il Polesine agli albori degli anni Cinquanta e pure la mia casa di Stienta. E poi, la pesca, i branzini pescati nel Canale dei Cuori, a Cavarzere, di cui Elisabetta era ghiotta».

I figli. «Geniali entrambi», dice Giuseppe. «Vittorio ha preso da mio padre, affabulatore nato e gran seduttore. Aveva un trasporto verso le donne quasi istintivo. Un giorno accarezzò le mani persino a due giovani suore che s’erano presentate al mulino a chiedere un’offerta per i poveri». Ed Elisabetta? «Scriva che ha fondato la casa editrice La Nave di Teseo. Lei è molto più ordinata e pignola. Vittorio corre sempre a destra e a sinistra, il lavoro di Elisabetta è più riflessivo e pacato».

Vittorio, 68 anni, ed Elisabetta Sgarbi, 55 (Ansa)

La vecchiaia. «È la stagione dei ricordi anche se ti ingarbuglia la memoria fino a tradirti. Adesso dimentico fatti, date e pure nomi fondamentali». Il futuro senza la Rina. «A 95 anni la parola futuro non ha senso. Ora che lei non c’è più tutto è meno interessante, anche se il mio cardiologo, il professore Guardigli di Ferrara, mi ha assicurato che proverà a farmi campare fino a cento anni».

E come definire questa lunga storia d’amore? «Non credo al caso, doveva accadere ed è accaduto», risponde Giuseppe, «la scelta di studiare Farmacia, facoltà che scelsi perché c’erano meno esami e dove incontrai la Rina. Che brava che era, ci sapeva fare con tutto: con i libri e le ampolle, dietro al bancone della farmacia, e con i figli. Un ciclone d’intelligenza e vitalità».

Una famiglia italiana, gli Sgarbi, con Vittorio che arriva a Ro anche a orari improbabili ed Elisabetta che torna ogni fine settimana da Milano. E papà Giuseppe che attende orgoglioso mentre snocciola a memoria la sua poesia preferita: «Dimmi, o luna: a che vale / al pastor la sua vita, / la vostra vita a voi? Dimmi: ove tende / questo vagar mio breve, / il tuo corso immortale?».

Giuseppe Sgarbi nella sua casa di Ro Ferrarese (foto Ugo Zamborlini)

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