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La carenza di personale amministrativo, cancellieri e affini per dirlo con una parola più chiara al grande pubblico, negli uffici giudiziari, è un problema annosissimo e arcinoto, ma non è tra quelli che accendono l’attenzione dell’opionione pubblica. Mentre la politica si è trastullata per anni discutendo di separazione delle carriere dei magistrati, il buco degli amministrativi è diventato una voragine, che né il concorso recente dopo 20 anni né lo scorrimento della graduatoria per l’immissione di 1.300 persone promessa entro il prossimo luglio in deroga al blocco del turn over possono minimamente coprire.
Ne parliamo oggi perché è capitato quello che ci si augurava che non capitasse mai, pur sapendo che si camminava sull’orlo del burrone. È triste dirlo, ma per accendere un riflettore c’era bisogno di un assassassinio, barbaro nella sua drammatica futilità, e della tragica coincidenza che a compierlo sia stata una persona, rea confessa, che avrebbe dovuto essere stata raggiunta mesi fa da un ordine di carcerazione che non è mai arrivato, con ogni probababilità perché una carta processuale non è arrivata a destinazione.
Non abbiamo la certezza della dinamica, né possiamo affermare che Said Mechaqat si sarebbe trovato ancora in carcere il 23 febbraio scorso quando ha incrociato sulla propria strada il povero Stefano Leo, perché l'entità della condanna era di quelle che accedono alle misure alternative, ma dobbiamo fare i conti con l’eventualità che un’amministrazione più spedita avrebbe potuto, indirettamente, salvare una vita.
Ed è venuto il momento di indagare le ragioni profonde della speditezza che manca. «La massa di lavoro da smaltire è tale che il ministero della Giustizia dovrebbe provvedere ad assumere cancellieri e assistenti perché è quello di cui abbiamo bisogno», ha detto il Edoardo Barelli Innocenti, presidente della Corte d'appello di Torino, scusandosi con la famiglia dell’ucciso, e pronto «a prendere i pesci in faccia».
È una risposta che non può bastare a chi oggi si chiede se quella carta avrebbe salvato Leo, ma sappiamo tutti che le cose stanno dappertutto come dice il presidente Barelli Innocenti, e che sembra pure un mezzo miracolo che non si verifichino tragedie simili più spesso. A Torino manca un amministrativo ogni cinque, a Milano uno ogni 4 scarsi, la media è un buco del 21,93%. Da decenni a ogni inaugurazione di anno giudiziario, Presidenti di Corte d’Appello e Procuratori generali gridano nel deserto, a proposito del personale che manca, una geremiade che nessuno ascolta.
Anni fa si sorrise alla notizia la migrazione dei barellieri della Croce Rossa a coprire, mal addestrati non per colpa loro, i buchi nei tribunali, prendendosi la responsabilità di un lavoro non loro. Quando oltre 300.000 aspiranti cancellieri due anni fa si iscrissero a un concorso per 800 posti, poi diventati 1.600 scoprimmo che l’età media del personale amministrativo giudiziario era di 56 anni, cioè sulla soglia della pensione, soglia che si abbassa e di molto con la previsione di quota 100. Nella relazione che il ministero di via Arenula ha allegato all’emendamento che serve a sbloccare l’assunzione di quei 1.300, leggiamo che al momento la scopertura di personale amministrativo è in termini assoluti 9.573 posti. Entro i prossimi tre anni, se andassero in pensione con la sola legge Fornero, conteremo 12.225 posti vacanti, pari al 28% delle scoperture. Se si calcolano gli effetti di quota 100 nel 2021 il buco del personale amministrativo nei palazzi di Giustizia sarà di 20.258 unità, vuol dire che mancherà il 46,40% del personale rispetto all'organico prestabilito con un picco a fine 2019, in cui uscirebbero con quota 100 7.158 persone.
Pochi, tra i non addetti ai lavori, hanno chiaro che cosa questo comporti, ma è presto detto: non c’è atto di magistrato che abbia valore nel mondo di fuori senza la firma di un cancelliere. Sulle gambe del personale amministrativo marcia fisicamente la giustizia, se il personale non basta tutto ritarda: le sentenze non si eseguono, le ordinanze non partono, non si entra in carcere e non se ne esce e se un termine scade la giustizia si paralizza. Lo sappiamo, abbiamo sempre saputo che la coperta era corta, ma abbiamo avuto bisogno che si squarciasse su una tragedia, perché si accendesse un riflettore sul problema. Ora la politica manderà gli ispettori, quando il danno ormai è fatto. Magari si proverà a gettare tutta la croce sui singoli nelle cui mani l'errore si sia, eventualmente, consumato. Ma tutti sanno che sarebbe ingeneroso: l’errore è in agguato quando si lavora tappando buchi e la macchina intera è ingolfata. Una risposta politica seria avrebbe dovuto prevenire, con una progettualità lunga - la stessa che sarebbe servita al numero programmato dei medici -, ma la programmazione, nell’era del consenso a breve scadenza, non sposta mai voti e dunque non va mai in agenda, se non, dopo troppo tardi, quando il prevedibile sfocia nell'emergenza.





