Indicare la «separazione delle carriere» fra «giudici e pubblici ministeri» come «rimedio salvifico per il sistema penale, oltre a non corrispondere alla attuale realtà dei rapporti fra i vari attori del processo, ci sembra un atteggiamento limitato e riduttivo rispetto ai problemi». La frase estrapolata dalla relazione della procuratrice generale di Milano Francesca Nanni nel suo intervento all'inaugurazione dell'Anno giudiziario, in programma il 28 gennaio 2023 in tutte le corti d’Appello, fa lo stesso effetto del bambino che nella favola nota vede quello che i grandi intorno, mentre lodano l’abito nuovo del sovrano, sembrano non vedere: «Il re è nudo». Squarciando così il velo sullo strabismo collettivo in atto attorno al sistema giustizia.
Mentre tutto il dibattito e tre progetti di legge costituzionale si concentrano su un problema, la “separazione delle carriere” - che nel 2022 ha riguardato il 2-3 per mille dei magistrati: una ventina di persone su oltre 9.000 che hanno chiesto di passare da una funzione all’altra - , rimbalzando nelle relazioni pronunciate stamattina nelle Corti d’Appello di tutta Italia appare lampante che i problemi e le priorità della giustizia sono altri. Primo tra tutti il buco nero presente in tutte le piante organiche. Mancano magistrati, con differenze da sede a sede, ma come per i medici non li si forma in un giorno. E soprattutto mancano tantissimi amministrativi, argomento che ha da sempre poco appeal, ma che, cronico, impatta enormemente sull’efficienza del sistema. Perché non c’è atto di giudice che abbia valenza nel mondo esterno, se non c’è un funzionario o un cancelliere a validarlo con la propria firma. Ogni volta che le decisioni dei giudici si accumulano sulle scrivanie piene di carte e vuote di personale i processi saltano perché le notifiche non arrivano, le sentenze non si eseguono ecc. ecc.
La coperta corta della buona volontà non basta a tappare i buchi che ci sono dappertutto. Nel distretto di Milano la scopertura dei magistrati va dal 6,6% del Tribunale di Lecco al 24,33 di quello di Pavia, passando per il 14% di Milano che ha competenza su uno dei bacini d’utenza più grandi e complessi d’Italia per la varietà di problemi giudiziari che vi si concentrano tra penale, civile e lavoro. Tra gli amministrativi a Milano manca: il 21,9% dei direttori, il 37,4% dei funzionari e il 14% dei cancellieri. Nel problema comune a tutti gli uffici giudiziari a livello nazionale con differenze da ufficio a ufficio colpiscono alcuni dati: per esempio in un momento in cui si lavora all’informatizzazione del processo penale il 75% di scopertura tra gli assistenti informatici nel distretto di Palermo.
Il tema annoso si fa ancora più delicato perché impatta sulla complessità contingente dovuta alla necessità di metabolizzare le novità introdotte dalla riforma Cartabia, che non sarà stata “epocale” ma ha certo toccato punti dell’ordinamento e di tutti i riti penale, civile e lavoro e porta ora, soprattutto il penale, a confrontarsi con un nuovo sistema di proriorità. Il presidente della Corte d’appello di Roma Giuseppe Meliado che si confonta con pendenze da circa 40.000 processi civili e del lavoro e 50.000 processi penali pari «da sole a circa il 20% delle complessive pendenze civili e penali a livello nazionale, segnala da un lato: «La precarietà dello status giuridico dei nuovi funzionari, assunti a tempo determinato, che li spinge a ricercare altrove stabili occasioni di impiego (basti dire che la Corte di appello di Roma ha in pochi mesi perduto più di cinquanta addetti all’ufficio per il processo su 185 originariamente assegnati), così come la persistente scopertura degli organici del personale amministrativo (ancora superiore al 30 % sia presso la Corte che il Tribunale di Roma), che è compensata a stento dalla destinazione dei nuovi funzionari, specie nel settore penale, a funzioni di cancelleria, più che all’assistenza dei giudici. E, infatti, sta continuamente aumentando il flusso dei processi con priorità di trattazione, sol perché relativi a reati commessi dal primo gennaio 2020» mentre l’arretrato rimane lì.
Ogni volta che una riforma giunge implica infatti una serie di più o meno terremotanti scosse di assestamento nel sistema, di cui la politica nell’annunciare sempre nuove riforme, senza mai dare alle precedenti il tempo di assestarsi, sembra non tenere conto. Il caso della separazione delle carriere è emblematico: già marginalissimo, il passaggio dalla una funzione all’altra è stato ulteriormente disincentivato dalla riforma Cartabia, ma solo tra un anno le statistiche lo proveranno. Altre modifiche come quelle sull’improcedibilità mostreranno i loro reali effetti solo a più lunga scadenza, dato che la norma si applica solo ai reati commessi dopo il 1° gennaio 2020. Ma la politica non sembra tener conto di questo bisogno di assimilazione. È un tema invece presente al nuovo vicepresidente del Csm Fabio Pinelli che lo ha ribadito intervenendo a Palermo: «Dobbiamo esserne consapevoli: ogni riforma che ambisca ad essere profonda necessita di un tempo di decantazione. È necessario dare alle disposizioni di nuovo conio un tempo di stabilità operativa, che consenta di verificarne la reale capacità in incidere in positivo sull'esistente. È compito delle istituzioni, ciascuna nell'ambito e nei limiti delle proprie competenze, intervenire tempestivamente sulle criticità che eventualmente si manifestano».
Se gli uffici grandi soffrono quelli più piccoli non stanno bene. Il presidente della Corte d’appello di Palermo Frasca segnala: «La specifica criticità del Tribunale di Agrigento, costituita dall'indice, assolutamente anomalo ed elevato, di turn-over dei magistrati e dalla conseguente ciclica scopertura simultanea di diversi posti di giudice, a causa di continui trasferimenti di giovani magistrati di prima nomina che, a loro volta, vengono sostituiti con altri giovani magistrati vincitori di concorso». Mentre il tema dei buchi nell’organico rimbalza da Genova a Firenze a Trieste, ci si domanda quanto lontani siano i propositi di massiccia accelerazione dei tempi dei processi richiesti dal Pnrr. Non dovendo dimenticare che una buona giustizia è fatta di efficienza e di efficacia, ma anche di eguaglianza e di accessibilità.