Ottanta anni fa furono promulgate in Italia le leggi razziali firmate da Benito Mussolini in qualità di capo del governo e con la firma del re Vittorio Emauele III. Il primo di una serie di decreti legge era proprio del 5 settembre 1938, e fissava “provvedimenti nei confronti degli ebrei stranieri”. Era stato preceduto il 15 luglio 1938 dal “manifesto della razza” pubblicato prima in forma anonima su “Il giornale d’Italia” e poi ripubblicato sul numero uno della rivista “La difesa della razza” con la firma di dieci scienziati. Vi si leggeva: «È tempo che gli Italiani si proclamino francamente razzisti. Tutta l'opera che finora ha fatto il Regime in Italia è in fondo del razzismo. Frequentissimo è stato sempre nei discorsi del Capo il richiamo ai concetti di razza. La questione del razzismo in Italia deve essere trattata da un punto di vista puramente biologico, senza intenzioni filosofiche o religiose. La concezione del razzismo in Italia deve essere essenzialmente italiana e l'indirizzo arianonordico.»
Per la legislazione fascista era ebreo chi era nato da: genitori entrambi ebrei, da un ebreo e da una straniera, da una madre ebrea in condizioni di paternità ignota oppure chi, pur avendo un genitore ariano, professasse la religione ebraica. Le leggi razziali comportarono una serie di divieti per gli ebrei: ebrei e italiani non si potevano sposare, gli ebrei non potevano assumere domestiche ariane. Le pubbliche amministrazioni, le banche e le assicurazioni non potevano avere alle proprie dipendenze degli ebrei. Gli ebrei stranieri non potevano trasferirsi in Italia. Gli ebrei non potevano svolger professioni come il giornalista e il notaio, i bambini ebrei dovevano frequentare scuole specifiche dove potevano lavorare solo insegnanti ebrei. Per tutti fu disposta l’annotazione dello stato di razza ebraica nei registri dello stato civile Dalle università furono cacciati 300 docenti, così come dai licei. Alcuni scienziati e intellettuali emigrarono all’estero. Tra questi Emilio Segré, Bruno Pontecorvo, Franco Modigliani, Carlo Foà, Amedeo Herlitzka. E inoltre Enrico Fermi e Luigi Bogliolo, le cui mogli erano ebree.
Nell’occasione di questa ricorrenza il rettore dell’Università di Pisa Paolo Mancarella, a nome dell’intera Accademia e alla presenza di tutti i rettori delle università italiane, riconoscerà la responsabilità per gli atti che, a partire dall’adesione al “Giuramento di fedeltà al Fascismo” del 1931, videro il mondo universitario silente e complice verso le scelte del regime che giunsero sino all’emanazione delle Leggi razziali nel 1938. È la prima volta che in Italia un rappresentante delle istituzioni compie pubblicamente un simile gesto. La solenne cerimonia si svolgerà il 20 settembre nel Palazzo della Sapienza dell’Ateneo pisano, alla presenza della Conferenza dei Rettori Universitari Italiani (Crui) riunitasi a Pisa per l’occasione e dei rappresentanti dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (Ucei).La “Cerimonia del ricordo e delle scuse” sarà il momento più alto e significativo di “San Rossore 1938”, un vasto programma di iniziative che si svolgeranno in Toscana da settembre e che, con incontri nelle scuole, proseguirà fino al 2019 inoltrato.