Da Savona a Modena e a Molfetta il copione si ripete drammaticamente. Sul palco salgono per primi i giovani protagonisti di sesso maschile. Sono ragazzini radunati in un “branco” che si atteggiano da uomini. A loro spetta la parte più cruda e violenta della storia: “abusare” ripetutamente. Ma di chi? Dell’indifesa protagonista di sesso femminile. Anche lei sale sul palco. Ovviamente senza trionfi, marchiata di debolezza: è una donna. È più piccola dei suoi aguzzini. A Savona e Modena sfiora i 16 anni, a Molfetta i 14. La sceneggiatura segue la stessa trama. Poi prende strade diverse.
A Savona, nei giorni scorsi, è la scuola a essere stata teatro di abuso e violenza. Nei servizi igienici dell'Istituto Alberghiero "Migliorini" di Finale (in provincia di Savona), una giovane alunna è stata sottoposta a molestie di vario genere e costretta a un rapporto orale. I responsabili sono quattro suoi coetanei, tutti tra i 15 ed i 16 anni. Il primo l'ha costretta a seguirlo in bagno, dove è avvenuta la violenza. Gli altri tre erano in attesa. A sventare il progetto l'intervento di un insegnante.
Nella città emiliana la violenza si consuma in casa, durante un’innocua festa tra adolescenti. La sedicenne viene indotta dai suoi compagni di scuola (quattro diciottenni e un diciassettenne) a bere alcuni drink, forse troppi. Poi, gli stessi la trascinano in bagno e mentre uno di loro fa il “palo”, gli altri la costringono, a turno, a rapporti sessuali completi. La ragazza, spaventata, trova il coraggio di denunciarli.
Nella provincia pugliese, la storia si aggroviglia assumendo tratti ancora più cruenti. Gli abusanti sono circa in dieci, tre minorenni e gli altri tra i 18 e i 24 anni. La vittima, quattordicenne, subisce le loro violenze ripetutamente, tra la primavera e l’estate dello scorso anno. Viene minacciata: “Se dici qualcosa peggio per te”. È terrorizzata e continua il silenzio, fino a quando riesce a denunciarli. Quattro di loro vengono arrestati. E alcuni dettagli iniziano ad affiorare. Tra essi un falso profilo facebook attribuito alla ragazza. All’interno della pagina campeggerebbe un invito: “sono disponibile a tutto”. Questo il motivo che avrebbe spinto il gruppo ad agire le violenze.
Due storie agghiaccianti accadute nell’arco di un solo mese. Si aggiungono a episodi simili consumati nell’arco degli ultimi anni. E non sono lontani neanche dallo sconvolgente caso di cronaca delle baby prostitute di Roma. Cosa sta succedendo? Conosciamo davvero questi giovani? Rispondere non è facile. Forse siamo di fronte a una popolazione adolescenziale smarrita, o, come spesso si dice, “anestetizzata” dal punto di vista emotivo. Il corpo, la sessualità, la violenza i social network sembrano “luoghi” comuni da utilizzare a proprio piacimento. Senza alcun freno.
A tal riguardo, diversi esperti denunciano la gravità delle ultime tendenze. La vicenda di Modena sembra molto vicina ai casi che, in America e nel resto dell’Europa, vengono definiti come “gray rape”. Ovvero stupri grigi. Ambientati in circostanze ambigue, a metà tra lo sballo alcolico e il “bad sex”. Sono il frutto di incontri casuali con partner mai visti prima. Forse ci si conosce in discoteca, o, alla meno peggio, in una festa in casa. Ci si inebria di drink che scorrono a fiumi, ci si trova appartati non si sa dove e perché. La mattina dopo arriva il conto. Le ragazze si risvegliano in un letto non loro, spaventate e confuse. Non ricordano. Non sanno. Sono vittime o artefici delle violenze sessuali subite? Secondo alcuni le ragazze se le cercano, altre volte possono cadere in trappola. Nel dubbio, il grigio si infittisce. E le tredicenni «bigiano la scuola», spiega Alessandra Kustermann, primario di ginecologia e ostetricia della Clinica Mangiagalli e responsabile del Soccorso violenza sessuale e domestica (SVSeD) del Policlinico di Milano, in un’intervista rilasciata al settimanale D di Repubblica due settimane fa. «Vanno da amici che hanno la casa libera e organizzano feste cui partecipano ragazzi d’età maggiore, cominciano a bere prima di mattina, e poi succede quello che succede. E così si rovinano tutti, anche i maschi. Che a 15-16 anni sono già dei violentatori senza controllo, dai comportamenti abnormi. Bisognerebbe riflettere sui freni inibitori di quest’epoca».
A quanto pare questi freni fanno fatica a essere premuti. Lo dimostrano anche i comportamenti legati al sexting, una pratica simile a quella ricostruita nella vicenda di Molfetta e che chiama in causa (solo come mezzo e niente di più) i social network e i cellulari di ultima generazione. Il sexting, infatti, non è altro che lo scambio di immagini sessualmente esplicite di sé stessi o di altri coetanei attraverso mms, video hard o altri canali comunicativi digitali. Una pratica che diverte moltissimo gli adolescenti e che sfugge al controllo degli adulti. Secondo la sessuologa dell’Irf di Firenze, Roberta Giommi, «la pornografia è presente in modo invasivo nella vita dei preadolescenti e adolescenti. Stiamo parlando di ragazzi e ragazze che hanno tra gli 11 e i 14 anni e tra i 15 e i 18. Il fenomeno che crea più allarme è il porno fai da te, il sexting. Si tratta di una pratica che segue un suo rituale ben preciso: ci si fotografa o filma col telefonino nudi o in pose provocanti, lo si fa di nascosto dai genitori, e si inviano le immagini. Essa espone ragazzi e ragazze a diventare autori di pornografia, con proposte di sesso a pagamento». Inoltre, «per gli adolescenti, le reazioni nel ricevere foto o filmati a sfondo pornografico sono prevalentemente positive. Il 30,1% dice che gli ha fatto piacere, il 29,1% che lo ha trovato divertente. Tuttavia le reazioni negative ammontano complessivamente al 23,1%: il 10,7% si è sentito infastidito, il 6,6% imbarazzato, il 2,9% spaventato ed il 2,9% angosciato, il 16% è rimasto indifferente. Queste ragazze e ragazzi accettano, ma entrano in crisi e forse è necessario dedicare una particolare attenzione alle loro difficoltà». Il lavoro sull’educazione emotiva, affettiva e sessuale diventa ancora più urgente.
In questo disorientamento globale, i giovani necessitano di recuperare punti di riferimento stabili. Sia nei genitori, sia nelle figure educative tradizionali. L’ascolto dei loro dubbi e delle loro paure diviene il primo passo per costruire un’identità sessuale e personale non fondata solo sull’apparire. Occorre tornare all’importanza dei legami e al ricongiungimento della sessualità con la dimensione più propriamente relazionale e affettiva. Siamo ancora in tempo a impedire affermazioni come quelle delle baby squillo romane: «Vendo il corpo per avere quello che voglio». Si, siamo in tempo.