L’indagine in corso sul giacimento nigeriano Opl245 non è certo il primo caso di sospetta corruzione affrontato da Re:Common. Spesso l’azionariato critico, partendo dall’impatto ambientale, si imbatte in questo genere di illecito. Racconta Luca Manes: «Ci è capitato nel 2006, quando l’allora “nuova” Impregilo dovette ammettere la responsabilità corruttiva della vecchia società nella vicenda dell’Highlands Water Project in Lesotho». Si trattava del progetto di gestione delle acque più importante al mondo dopo la diga delle Tre Gole in Cina. I magistrati del piccolo Stato sudafricano condannarono 14 multinazionali occidentali, imponendo al principale gruppo italiano nel settore delle costruzioni il pagamento di un milione e mezzo di euro. In quel caso, c’era forse un’aggravante: l’opera, che aveva un valore complessivo di oltre 4 miliardi di dollari, era finanziata da istituzioni pubbliche come la Banca mondiale, la Banca europea per gli investimenti e le principali agenzie di credito all’esportazione europee, tra cui l’italiana Sace. Non è un caso che all’epoca Re:Common si chiamasse “Campagna per la Riforma della Banca Mondiale”.
«Successivamente – continua Manes – abbiamo denunciato la mancata trasparenza attorno all’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, che trasporta il petrolio dal Mar Caspio al Mediterraneo turco, alle dighe Salini in Etiopia e in molti altri casi. Ora stiamo monitorando il land grabbing in Senegal, specialmente il caso Senhuile-Senethanol, dove è coinvolta la compagnia italiana Tampieri, e la ristrutturazione del debito del passante di Mestre con fondi europei».
Land grabbing vuol dire “accaparramento delle terre” e si ha quando una larga porzione di terra è venduta a terzi, aziende o governi spesso stranieri, senza il consenso delle comunità che ci abitano e che la utilizzano da anni per coltivare e produrre il loro cibo. Con la scoppio della crisi finanziaria nel 2008, secondo Oxfam il fenomeno è cresciuto del 1000%, spingendo alla fame migliaia di contadini del Sud del mondo. Nel caso senegalese analizzato da Re:Common, un investimento controverso su 20mila ettari agricoli per produrre biocarburanti per il mercato europeo (prima patata dolce, poi semi di girasole), ha scatenato nel 2011 violenti scontri tra contadini e polizia, addirittura con due morti. Spiega l’ong: «Si era diffusa la preoccupazione su un possibile riciclaggio di denaro. Abbiamo iniziato cercando di comprendere chi c’era dietro al progetto. Non è stato facile, ma grazie a investigatori professionisti ne è emerso un quadro societario segnato da una struttura oscura e con uomini d’affari con un passato controverso». Tutto ciò coinvolge in pieno l’italiana Tampieri, che controlla il 51% di Senhuile.
Per il caso del passante autostradale di Mestre, costato oltre un miliardo di euro e attualmente sotto indagine, Re:Common ha invece addirittura scritto al presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Cantone. «Si tratta – dice Elena Gerebizza dell’ong – del primo progetto che la Commissione europea finanzierà in Italia con il meccanismo dei “project bond europei”. Abbiamo segnalato il rischio che una parte dei 350 milioni di euro del finanziamento erogato dalla Banca europea degli investimenti possano essere rientrati nel giro di fatture false da parte della Mantovani e delle altre aziende subappaltate, le stesse coinvolte nello scandalo Mose, che ha già portato all’arresto di alte cariche istituzionali». Infine, sotto la lente di ingrandimento di Re:Common ci sono in questo momento anche i 600 km dell’autostrada Orte-Mestre, un progetto da dieci miliardi appena rimesso in pista dal decreto “Sblocca Italia”.