Nassiriya
Il vecchio e sgangherato pulmino proveniente dall’aeroporto di Bassora si ferma di fronte all’Habbobbi Teaching Hospital, nel cuore di Nassiriya. Alle spalle c’è una notte passata in volo da Roma con scalo a Dubai e due ore di viaggio nel deserto dell’Iraq meridionale. I chirurghi, i medici e gli infermieri salgono le scale della struttura sanitaria, lasciano i loro bagagli in foresteria e vengono ricevuti dalle autorità locali. Una folla di piccoli pazienti, accompagnati dalle madri coperte dai lunghi chador neri e da padri e nonni che sgranano tra le dita il loro tasbeh, il rosario musulmano, attende fuori dagli ambulatori fin dal mattino. Qualche minuto per i saluti e i convenevoli e i medici sono già al lavoro per visitare i primi pazienti che verranno operati l’indomani mattina.
Comincia così la missione della Onlus “Emergenza Sorrisi” coordinata dal dottor Fabio Massimo Abenavoli. In una settimana verranno operati oltre 130 pazienti (un ritmo due o tre volte superiore a quello abituale di un qualunque ospedale italiano), soprattutto bambini affetti da malformazioni al viso. Le condizioni in cui si svolge il lavoro dell’équipe medica sono estreme: la luce va e viene, l’acqua è razionata, le strumentazioni, a parte quelle che si sono portati dall’Italia (ferri, macchinari e materiali rimarranno qui), sono obsolete. Anche le condizioni igieniche, soprattutto se si pensa che siamo in un ospedale, lasciano a dir poco a desiderare. Le missioni di “Emergenza Sorrisi” in Iraq si susseguono dal 2008. «È una gioia immensa guarire questi bambini», ci dice Chicca Pacelli, coordinatrice e veterana delle missioni. «La prima, a cinque anni dallo scoppio della guerra, me la ricordo bene: eravamo in una base militare americana. Fuori si sentivano i razzi e i colpi di mitragliatrice. Nessuno si aspettava che arrivassimo in quel posto a operare bambini. La voce si sparse tra i militari. Un giorno venne a trovare i pazienti un soldato americano, poi le donne soldato. Alla fine venivano tutti per giocare con quei bimbi così sfortunati». Come spiega Gigi Sigona, neurochirurgo dell’ospedale Santa Maria delle Grazie di Pozzuoli, spesso si presentano casi dovuti a denutrizione che in Italia risalgono a trent’anni fa. Casi rari, difficilissimi e complicati, che Sigona risolve con successo.
«Non è vero che è una goccia nell’oceano dell’Iraq. Le cose qui cambiano, stanno cambiando davvero» conclude Chicca Pacelli. In sedici missioni, in dieci anni, sono stati guariti oltre 1.200 pazienti. «Quanto pesa?», chiede l’anestesista Maria D’Amico per calcolare la dose di sedativi mentre l’infermiera Nicoletta Masserotti le porge il bambino. Un piccolo altoparlante diffonde musica di Eros Ramazzotti, per sentirsi un po’ a casa. L’équipe è molto affiatata: giovani chirurghi come Claudio Maestrini (ma ha già al suo attivo missioni in Congo e in Senegal) lavorano fianco a fianco con luminari della medicina come il professor Vincenzo Ferdinandi, primario di Urologia con la passione dell’alpinismo e medico di premier, ministri e pontefici, che potrebbe godersi la vita a Roma e invece è alla sua seconda volta in Iraq, dopo essere stato sul campo in due missioni in Siria. Tommaso Anniboletti, 41 anni, chirurgo plastico del Sant’Eugenio di Roma, è alla sua seconda missione a Nassiriya dopo essere già stato in Benin e in Afghanistan e mescola allegria a una grande professionalità. Al termine dell’intervento il pediatra Giorgio Giovannini, che aveva valutato lo stato di salute e la possibilità di subire l’operazione, ora controlla con l’aiuto dell’infermiera Ada Pizzolorusso che il piccolo paziente sia in condizioni ottimali per essere dimesso. I medici prendono le ferie e si mettono in viaggio: non guadagneranno nulla se non una soddisfazione immensa per aver guarito tanti bambini e tanta gente disperata di questo Paese dove manca tutto di tutto dopo 15 anni di guerre: da quella scatenata dall’intervento anglo-americano a quella contro il Daesh, che a Nassiriya ha compiuto una delle sue stragi più orrende il 12 novembre del 2003, quando un camion cisterna pieno di esplosivo scoppiò davanti all’ingresso della base italiana dei Carabinieri. Anche Carla Ottaviani, infermiera del San Pietro di Roma, è una veterana: ha al suo attivo dieci missioni in Iraq e molte altre in Congo, Afghanistan, Indonesia e Cambogia. Intanto all’Habbobbi Hospital va via di nuovo la luce. I chirurghi accendono le torce dei loro telefonini e vanno avanti come se niente fosse. Sarà così sette giorni su sette, dodici ore al giorno.
I pazienti arrivano da tutte le parti dell’Iraq, spesso in condizioni gravissime, al secondo o terzo intervento. C’è anche una ragazza di Baghdad di 23 anni, Abir, completamente senza labbra, andate in necrosi per un errore del chirurgo plastico iracheno, che è stato arrestato per averla ridotta in quello stato. La ragazza non apre la bocca da due anni, si nutre attraverso una cannula. È uno degli ultimi interventi della missione, uno dei più complessi e delicati. «Credo che non esista in letteratura scientifica un caso del genere, un caso unico al mondo», commenta il Abenavoli, che metterà in pratica con l’aiuto del professor Ferdinandi una delicatissima operazione ricostruttiva e le ridarà il sorriso.
«Lo spirito della missione è quello di collaborare con i medici iracheni coordinati dal dottor Aws Adel Al Hussona», sottolinea il dottor Abenavoli. «Questo vale per tutte le nostre missioni, che tendono a organizzare e potenziare le strutture già presenti aiutando i medici a migliorare».
Tra i progetti di “Emergenza Sorrisi” c’è un intervento in Libia, nei centri di raccolta dei profughi di Tripoli. «A luglio inizieremo a lavorare a Mogadiscio». E ora c’è già in vista una nuova missione: Afghanistan. «Quando noi ce ne andiamo», conclude Abenavoli, «le operazioni continueranno sotto la direzione del dottor Aws. È così dovunque andiamo. Questa è la forza delle nostre missioni».
Foto di Paolo Siccardi/Walkabout