(nella foto in alto: don Raffaele Busnelli, 44 anni, sacerdote diocesano, eremita solitario in alta Valvarrone, provincia di Lecco. In copertina: Antonella Lumini, eremita di città, vive a Firenze).
Gli eremiti pregano. S’inginocchiano,
stanno in ascolto
di Dio, gli aprono il loro cuore.
Vivono isolati nei boschi
o in qualche alpeggio, come
don Raffaele Busnelli, 44
anni, che s’è rifugiato in una malga
a mille metri, alta Valvarrone, provincia
di Lecco: sei galline, tre file di
pomodori, un terreno da cui ricava
un quintale di patate l’anno e sei asini
che tengono puliti i prati. Oppure
strappano a fatica angoli di silenzio in
città, o nella cella di un cenobio, separati
dagli altri monaci. Lavorano, studiano,
vegliano, danno ospitalità. Ma
soprattutto pregano. È questo che
li distingue, nettamente, da quanti
subiscono il fascino di meditazioni
lontane; o da chi è attratto da una
vita solitaria, raminga, a contatto con
la natura, nelle terre selvagge, come il
personaggio del libro Into the Wild di
Jon Krakauer, via dalle inquietudini
del mondo (e forse anche dalle difficoltà e dalle sconfitte); o come il trentaduenne
belga Angelo Valkenborg,
che ha mollato tutto, anche il lavoro e
la moglie, per le foreste nel Nord della
Slovenia: vive in una capanna, si nutre
di bacche, ortiche e rane.
Paola Biacino, mamma, nonna, eremita in Piemonte, sopra Pra ‘d Mil, a Bagnolo (Cuneo), non lontano dal Monviso.
Gli eremiti sono un’altra cosa. Gli eremiti pregano. Don Raffaele, 17 anni di sacerdozio alle spalle, anche se oggi non ha più incarichi pastorali, ha un ritmo di orazione intenso, scandito dal lavoro e dalla solitudine, una vita di adorazione concordata con vescovo e padre spirituale. La giornata, simile a quella di altri fratelli nel silenzio, comincia alle 4, con l’Ufficio delle letture, il tempo di scendere dal letto e mettere due ciocchi di legno nel camino: Poi tre quarti d’ora di lectio divina solitaria , racconta, dopo le lodi e la Messa. Alle 8 colazione. Lavoro sino alle 12. Poi il pranzo, che può essere consumato con gli ospiti, se qualcuno viene a trovarmi . Dopo ancora lavoro sino alle 17. Segue un’ora di ascolto interiore. Dalle 18 alle 19 vespri e adorazione. Al termine una cena frugale e l’ultima preghiera di Compieta. All’Eremo della Breccia, dove don Raffaele dedica la vita a Dio, la luce si spegne alle 22. Quando non prega e non lavora, legge: la sua cella è una biblioteca di 3.500 volumi.
Dunque, gli eremiti sono tali se hanno una regola di preghiera, un rapporto con la comunità locale e cristiana, un dialogo con la propria Chiesa diocesana. In Italia sono circa 200 quelli riconosciuti da un vescovo. L’età media intorno ai 50-55 anni. È una scelta matura: in genere s’avverte la scintilla tra i 30 e i 40 anni, ma il necessario periodo di discernimento sposta più avanti la decisione finale. Sono suddivisi un po’ in tutte le regioni, più in Lombardia, Toscana e Umbria. In Calabria si sta assistendo a una crescita delle vocazioni. E, in generale, all’interesse per la vita eremitica grazie a libri come Il muratore di Dio, la storia di padre Pietro Lavini, cappuccino, scritto da Vincenzo Varagona per le Edizioni Paoline. Non è necessario essere religiosi o sacerdoti, anche se la maggior parte proviene da esperienze monastiche o da attività pastorali. Un laico può scegliere di vivere di preghiera, silenzio e lavoro: se lo desidera, è prevista una consacrazione eremitica, un voto pubblico che si esprime davanti al vescovo, secondo il canone 603 del Diritto canonico.
All’Eremo del Lecceto, vicino a Firenze, immerso nella natura, ex convento domenicano, poi seminario, oggi casa di spiritualità della diocesi, si è appena concluso un convegno che si svolge ogni due anni. Si sono radunati 21 eremiti ed eremite. Sacerdoti, religiose e laici. Veterani e nuove figure che scelgono questi giorni di dibattito per confrontarsi con chi da tempo vive in silenzio e preghiera.
Sono stati raggiunti tramite telefono e Internet proprio da don Raffaele, organizzatore del convegno. È un luogo comune che queste donne e uomini siano lontani da ogni tecnologia: «Soprattutto il Web è per noi uno strumento privilegiato: ci permette, nella distanza e nella solitudine, la comunicazione e lo scambio di documenti, studi, esperienze, o di risolvere questioni amministrative, bollette, imposte eccetera.
Ma che cosa fa, ancora oggi, compiere il salto verso una vita di isolamento? Cosa contraddistingue un eremita da un monaco? Con Dio siamo soli, il dialogo è ravvicinato, noi e Lui, nessun intermediario. Come la Sposa di fronte allo Sposo. Non ci tagliamo fuori dalla dimensione ecclesiale, anzi, la ricerchiamo. Ma diversamente dalla forma cenobitica di vita comunitaria, anche rigida come la trappista, il nostro è uno stare solitario con il Signore. A tu per tu. Un deserto continuo.
Viene da chiedersi qual è l’utilità dell’eremita. «“Utilità” è la cifra sintetica della società contemporanea, risponde a bisogni più produttivi che esistenziali, conclude don Raffaele Busnelli. Io abito all’Eremo della Breccia. La breccia è quella dell’apertura furtiva nelle mura della città da cui può passare chi da dentro è spinto ai margini della comunità e chi da fuori non ha le caratteristiche per farvi parte. Un punto d’incontro per chi nella società, e anche nella Chiesa, non è più “utile”».