Piercesare Rivoltella, direttore del Cremit
Il
90,4% dei giovani si connette a internet, l’84,4% tutti i giorni,
il 73,9% per almeno un’ora al giorno, il 46,7% con il wifi. Per
informarsi usano Facebook (il 71%), Google (65,2%) e YouTube (52,7%).
Il 66,1% ha uno smartphone e il 60,9% scarica le app sul telefono o
tablet. «Gli
under 30 sono protagonisti dell’evoluzione digitale della specie»,
dice l’11° Rapporto del Censis sulla comunicazione.
Piercesare
Rivoltella, direttore del Cremit (Centro di Ricerca sul’Educazione
ai Media, all’Informazione e alla Tecnologia) dell’Università
Cattolica di Milano, corregge il tiro: «Nessuna
evoluzione, solo il cambiamento che sempre si è verificato in
relazione alle trasformazioni del contesto socioculturale. Il nostro
è un contesto segnato dalla presenza dei media digitali e sociali».
Ovviamente per gli educatori ci sono delle conseguenze: «Questo
comporta», spiega il Professore, «nei ragazzi soprattutto, una
modificazione dei ritmi dell'attenzione e l'abitudine a una
comunicazione veloce, modellata sui ritmi dei linguaggi multimediali.
Ma rimane intatta la capacità di riflettere: solo occorre saperla
innescare. Il problema quindi diventa didattico: cercare la
mediazione giusta».
Se
la percentuale degli internauti si è sostanzialmente assestata (sono
il 63,5% della popolazione, +1,4% rispetto a un anno fa), non si
arresta l’espansione dei social network, che ha segnato il
passaggio al Web 2.0. È iscritto a Facebook il 69,8% delle persone
che hanno accesso a Internet, il 61% usa YouTube e il 15,2% Twitter.
Spesso ci si interroga su come i genitori debbano guardare
all’utilizzo dei social network da parte dei figli.
Questo il
parere del docente della Cattolica: «Con
grande disponibilità a vedervi una forma di naturale di rimanere in
relazione, di prolungare la relazione oltre i tempi e le forme della
presenza. Il social network non svuota le relazioni "reali":
le prolunga. Se il social network pone problemi sul piano educativo è
perché produce un eccesso di relazione, non perché la inibisce. E
poi il social network rappresenta per la famiglia una risorsa
di condivisione, uno spazio di complicità, un'opportunità di
dialogo come una recente ricerca condotta da me e dal collega Regalia
in Università Cattolica ha dimostrato».
Ma cosa fanno gli italiani in Rete? La
funzione di internet maggiormente utilizzata nella vita quotidiana è
la ricerca di informazioni su aziende, prodotti, servizi (lo fa il
43,2% degli italiani), oppure di strade e località (42,7%). Segue
l’ascolto della musica on line (34,5%). Anche l’home banking ha
preso piede nel nostro Paese: lo svolgimento di operazioni bancarie
tramite il Web è tra le attività svolte più frequentemente
(30,8%).
Fare acquisti (24,4%), telefonare attraverso internet
tramite Skype o altri servizi voip (20,6%), guardare un film (20,2%),
cercare lavoro (15,3%, ma la percentuale si impenna al 46,4% tra i
disoccupati), prenotare un viaggio (15,1%) sono altre attività
diffuse tra gli utenti di Internet. Sbrigare pratiche con uffici
amministrativi (14,4%) o prenotare una visita medica (9,7%) sono
modalità ancora poco praticate ma in netta crescita rispetto
agli anni passati.
«La nostra digital life», spiega
Rivoltella, «è in assoluta continuità con la
vita reale. Non vi sono due mondi paralleli, quello reale e quello
virtuale, ma due dimensioni altrettanto reali del nostro modo di
stare nel mondo, comunicare, stabilire e portare a avanti relazioni».
Il Rapporto evidenza inoltre la grande
differenza tra le generazioni nell’utilizzo del Web.
Tra i giovani, la quota di utenti della rete arriva al 90,4%, mentre
è ferma al 21,1% tra gli anziani; il 75,6% dei primi è iscritto a
Facebook, contro appena il 9,2% dei secondi; i giovani che guardano
la Web tv (il 49,4%) sono diciotto volte di più degli anziani,
mentre il 32,5% dei primi ascolta la radio attraverso il cellulare,
contro solo l’1,7% dei secondi.
Per questo, il Censis parla di
«incolmabili
distanze tra giovani e anziani» nei
consumi mediatici. Anche qui, il docente della Cattolica,
puntualizza: «Non
sono d'accordo. Il nostro cervello è plastico e la ricerca dimostra
che l'uso lo modifica. Questo vuol dire che non è mai troppo tardi
per accostarsi ai nuovi linguaggi. In una recente ricerca abbiamo
portato la Wii motion (la nota piattaforma per videogiochi di
Nintendo) in una casa di riposo, a Como. Il risultato è stato
sorprendente: attivazione degli anziani e innesco di un nuovo spazio
di comunicazione con i nipoti. E poi se i più giovani possono
accompagnare l'anziano alla scoperta dei linguaggi, l'anziano con la
sua saggezza può essere guida dei più giovani verso un uso più
critico e consapevole. Le generazioni sono più vicine di quanto si
pensi».
Per quanto riguarda i consumi mediatici nel
2013, tra i mezzi tradizionali ci sono due tendenze diverse: reggono
la radio (82,9%) e la televisione,
seguita da quasi tutti gli italiani (97,4%), con un rafforzamento del
pubblico delle nuove televisioni (tv satellitari, web tv, mobile tv).
Al contrario, i quotidiani registrano un calo di lettori del 2%
(l’utenza complessiva si ferma al 43,5%). L’uso dei cellulari,
invece, continua ad aumentare (+4,5%), soprattutto grazie agli
smartphone sempre connessi in Rete (+12,2% in un solo anno), usati
ormai da due terzi dei giovani e dal 39,9% degli italiani.
E come si informano gli italiani del 2013? Lo
strumento condiviso da quasi tutti (l’86,4%) resta il telegiornale,
ma continuano a crescere i motori di ricerca sul Web come Google
(46,4%), Facebook (37,6%), le tv all news (35,3%) e YouTube (25,9%).
Anche qui è la fascia under 30 che individua la tendenza di questi
anni: tra i mezzi di informazione scelti dai giovani, il dato
riferito ai telegiornali (75%) è ormai molto vicino a quello di
Facebook (71%), Google (65,2%) e YouTube (52,7%).
È quella che il
Censis chiama «la personalizzazione dei
palinsesti informativi». È un
passaggio delicato, di cui gli educatori devono tener conto:
«Ciascuno», spiega il professor
Rivoltella, «è regista del proprio mondo informativo. Questo è un
vantaggio ma anche un limite. E' un vantaggio perché sottrae forse
l'informazione dalla dittatura dei grandi network, ma è un limite
perché chiede maggiore consapevolezza e senso critico. Cresce il
bisogno di Media Education».