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venerdì 13 settembre 2024
 
SICUREZZA
 

Gli oltre mille lutti l'anno che la Repubblica fondata sul lavoro non può permettersi

19/12/2021  Il crollo della gru a Torino urta le coscienze, ma dura sempre e solo un attimo perché i morti sul lavoro continuano a essere troppi e tanti infortuni, nella sregolatezza, sfuggono anche alle statistiche. Un problema che ha tante concause e che ci deve interrogare come Paese con più determinazione

Un volto, un nome in cronaca, durano lo spazio di un mattino. Perché sono tanti, troppi i morti di lavoro in Italia. Si rischia l’assuefazione. Un vecchio adagio diceva che un morto è una tragedia 1.000 una statistica, l’abitudine a leggere i bollettini sul Covid ci ha confermato nel dramma la verità di questo adagio sulla pelle: all’inizio s’è tentata una Spoon River dopo non siamo più stati capaci di stare dietro ai numeri, anche adesso che i morti sono 120-130 al giorno ci siamo quasi abituati e non ci sembrano più così tanti. Con i morti di lavoro ci succede più o meno la stessa cosa. Ci colpisce il dramma della gru crollata a Torino, in cui hanno perso la vita Roberto Peretto52 anni, Marco Pozzetti54 anni e Filippo Falotico20 anni, ma dura un istante perché il giorno dopo ne arriva un altro, il giorno prima ce n’era stato un altro ancora.

Anche il lavoro vive schiacciato in mezzo alla contraddizione di un Paese, l’Italia, sempre in bilico tra l’eccesso di controlli burocratici, troppo spesso pro forma, che si traducono in lentezza e formalismo esasperato e la tentazione di liberarsi di questi tentacoli attraverso la deregolazione.

Gli stessi numeri ufficiali relativi agli infortuni sul lavoro lasciano presumere la cifra nera dei tanti irregolari che sfuggono alla copertura assicurativa e dunque alle statistiche dell’Inail. Chi non ha diritti non può chiedere tutele; chi ha paura di perdere il posto non può rivendicare i propri diritti; chi non si sente un potere contrattuale e si sente sempre sostituibile, tende ad accettare tutte le condizioni, comprese quelle rischiose; c’è anche un problema di cultura che spesso permea imprese e lavoratori: la tendenza a considerare le regole di sicurezza un fatto formale, per avere le carte a posto, più che un presidio reale che salva vite e salute.

Torna in mente una spietata analisi che si legge in Sicurezza e appalti una strada in salita? , scritto pochi mesi fa da Giorgio Sclip, curatore della collana “sicurezzaccessibile”, membro del Network nazionale Focal point Italia dell’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro – Università degli studi di Trieste: «Ridurre il lavoro ad una merce, regolata o meglio assoggettata al mercato spesso piegato a un’ideologia sempre più connesse al danaro e ai costi, significa passare da diritti e garanzie sancite per legge o dalla contrattazione collettiva al mercato; dal soggetto all’oggetto, dal lavoratore alla merce-lavoro; dalla solidarietà collettiva all’individualismo aggressivo. Il mercato ha assunto, in maniera sempre più deviata e spietata, quasi unicamente il significato di competizione e concorrenza. Da questa concezione deriva il degrado di elementi culturali e materiali gravissimi, quali: le tasse indicate come balzelli; la critica ai compiti dello Stato e l’allentamento dei compiti e ruoli della vigilanza pubblica; i risibili investimenti in innovazione, ricerca, istruzione e formazione; lo spostamento di risorse dal lavoro alla rendita; l’individualizzazione dei rapporti di lavoro; la frammentazione dei cicli produttivi all’estensione delle tipologie di rapporto di lavoro precario; l’estensione dell’economia sommersa e del lavoro nero; la pratica sempre più diffusa di esternalizzazioni e subappalti».

«Il 90% delle imprese edilizie monitorate dall'Ispettorato nazionale del lavoro non è in regola». Ha detto al Tg3 il direttore dell'Ispettorato Bruno Giordano, all'indomani della tragedia di Torino, «Abbiamo iniziato una vigilanza da qualche mese da cui risulta che oltre 9 imprese edili su 10 non sono regolari. Le risorse sono sufficienti, ma occorre il coordinamento degli organi di vigilanza per intervenire nella prevenzione e nella repressione delle violazioni in materia di sicurezza». 

Fanno discutere le parole di Maurizio Landini: «Cantieri come Far West», ma in un Paese in cui agricoltura ed edilizia sono i settori in cui si registra il più alto numero di incidenti, tornano in mente le preoccupazioni che Alessandra Dolci, capo della Direzione distrettuale antimafia, ha affidato a una recente intervista su Famiglia Cristiana a proposito di rischio di infiltrazioni mafiose nell'economia sana, in presenza di tanti fondi pubblici da distribuire.

In un momento in cui «l’Italia sta facendo registrare livelli di crescita migliori del resto d’Europa», come ha ricordato Ursula von der Leyen intervenuta all’università Cattolica, i numeri della sicurezza sul lavoro stridono ancora di più, perché non c’è neanche la crisi nera a mordere da accampare come scusa. E se è vero che nell'ottobre scorso il Governo ha varato un decreto ad hoc in tema di sicurezza sul lavoro, è vero che domandarsi se una Repubblica che nel primo articolo della Costituzione si definisce «fondata sul lavoro» possa considerare oltre mille vite l'anno un prezzo accettabile da pagare al pane quotidiano senza rinnegarsi resta il minimo sindacale.

 
 
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