Nel cuore del quartiere Oberkampf, a due passi da quel Bataclan dalla facciata multicolore in contrasto stridente con le emozioni che provoca, c’è un locale dalla porta blu, che parla di speranza. A muoversi incorniciata da quella vetrina di boutique in stile vecchia Parigi, c’è Hiroko Kageyama, un’esile giapponese dagli occhi vispi, che corre dalla cucina ai tavoli per servire zuppe al miso e ciotole di riso profumato. Hiroko è un architetto d’interni, ha da qualche tempo cambiato vocazione e ha aperto un ristorantino in quello che era il suo appartamento, un’infilata di salette decorate in stile bohème e affacciate sul viavai di uno dei quartieri più vivaci della capitale. Arrivò in Francia nel 1973, innamorata di architettura moderna e di Alain Delon. Dieci anni più tardi aprì il suo studio e cominciò a frequentare assiduamente il gotha dell’arte e dell’architettura francese.
I legami col Giappone non si sono mai sciolti, Hiroko è sempre stata profondamente affezionata alla sua terra, alla sua gente e alla sua cultura. È stato quindi con grande sgomento che, nel marzo del 2011 ha assistito impotente come tutti al disastro dello tsunami che si è abbattuto sulle coste di Sendai e alla catastrofe nucleare di Fukushima. Ma una donna che ha attraversato mezzo mondo per realizzare i suoi sogni, non può rimanere con le mani in mano di fronte a un evento dalla portata così tragica. Hiroko si mette in contatto con un amico, lo chef americano Allan Susser, conosciuto per il suo impegno nelle cause umanitarie e per le sue battaglie contro la fame nel mondo. Susser e Hiroko decidono di lanciare alcune iniziative per raccogliere fondi per gli sfollati della regione contaminata di Fukushima. Ma lo slancio di fraternità è solo agli inizi. Hiroko Kageyama partecipa a un concorso indetto dal Ministero dell’Agricoltura portoghese per l’attribuzione di terreni e si aggiudica 65 ettari coltivabili nel Paese lusitano.
L’imprenditrice vuole far venire gli agricoltori e i bambini di Fukushima rimasti orfani e dar loro questi terreni da coltivare perché la tradizione agricola della regione non vada perduta. Prima del disastro nucleare, la prefettura di Fukushima era uno dei grandi orti del Paese del Sole Levante. Vi si coltivavano tonnellate di ortaggi, alcuni molto rari, le comunità contadine tradizionali vivevano al ritmo del loro lavoro nei campi. Addirittura la società era organizzata in modo trans-famigliare, nel senso che, ad esempio, una mamma si occupava di tutti i bambini del villaggio quando era il turno per le altre mamme di lavorare nelle piantagioni. Tutto questo sistema tradizionale è andato in frantumi con l’incidente alla centrale atomica. Le famiglie sono state smembrate, separate, i campi sono inutilizzabili, lo Stato a passo di formica raccoglie la superficie di terreno contaminato e la stipa in grandi sacchi di plastica. Esistono disseminate ovunque sul territorio piramidi gigantesche di questi lugubri sacchi neri. « L’utilità di questa operazione è discutibile » afferma Hiroko. «la natura prende il sopravvento, i sacchi riempiti per primi si squarciano sotto la forza degli arbusti e delle radici che continuano a crescere all’interno. » Hiroko vuole occuparsi delle persone in pericolo, far in modo che possano raggiungere i terreni in Portogallo per ricominciare, ma l’operazione si rivela da subito complicata. « Se decidono di andare via, il governo minaccia i contadini di privarli degli aiuti finanziari e degli indennizzi a cui hanno avuto diritto in quanto vittime della catastrofe. È una situazione crudele e assurda. La gente di Fukushima rimane in zona per poter continuare a beneficiare di quel poco di aiuto che le autorità elargiscono a chi ha perso tutto. Chi va via è considerato un traditore. Se ad esempio una mamma decide di allontanarsi con i suoi bambini dalla regione, per evitare che i figli subiscano gli effetti di un ambiente contaminato, sono discriminate e emarginate ».
La situazione degli sfollati di Fukushima ricorda quella degli hibakusha di Hiroshima e Nagasaki, gli scampati alla bomba atomica. Per anni gli hibakusha sono stati emarginati, ghettizzati, allontanati da tutti per il timore diffuso che potessero essere vettori di malattie. Molti hibakusha hanno avuto vite tremende dopo la guerra, qualcuno ha addirittura scelto il suicidio. Settant’anni dopo, la situazione si ripete. In Giappone la solidarietà verso le vittime di Fukushima è limitata, la gente vuole dimenticare, andare avanti. Il senso del pudore insito nella mentalità nipponica fa sì che tutto ciò che ricordi una sconfitta o una tragedia debba essere nascosto, accantonato. La lotta di Hiroko per aiutare gli scampati è quindi un’impresa titanica, una sfida tra Davide e Golia.
Eppure ce la fa. I bambini di Fukushima arrivano, e così gli agricoltori, col loro savoir faire millenario. Famiglie che erano state separate in Giappone per via della catastrofe del 2011, si ritrovano e si riabbracciano qui, nella terra di Pessoa. Hiroko accede ad altre terre, questa volta in Francia, vicino a Perpignano, si tratta del mas (fattoria provenzale ) nel passato proprietà del padre del celebre poeta e compositore Charles Trenet. « Fukushima ha la stessa posizione e lo stesso clima di Lisbona e di questa fascia mediterranea » spiega. « i contadini si trovano così nelle condizioni ideali per ricominciare a lavorare ». I contadini di Fukushima, oltre a piantare ortaggi rari del Giappone - fra cui una ventina di diverse piante di spinaci -, impiegano tecniche di coltivazione particolari. In molti praticano la « coltura naturale », seguendo i metodi inventati da Mokichi Okada, un filosofo e guaritore vissuto in Giappone a cavallo fra Otto e Novecento. Okada fu il precursore della permacoltura, di cui tanto si parla oggi.
A questo proposito, durante il prossimo mese di luglio, nelle terre di Hiroko nel sud della Francia, presso il podere « La terrasse au soleil », verranno invitati a confrontarsi con gli agricoltori di Fukushima dei contadini provenienti da tutta Europa, Italia compresa. Se non avete il pollice verde ma volete contribuire ad aiutare gli sfollati di Fukushima, andate a pranzo a casa di Hiroko Kageyama durante il vostro prossimo fine -settimana a Parigi. Il posto si chiama Comptoir Japonais, e l’indirizzo è questo: 3, rue Ternaux, 75011, Parigi.
A far del bene, si può cominciare a tavola.