«Vogliamo accogliere concretamente, presso di noi e attraverso di noi. Niente di ciò che è umano ci è estraneo». L’hanno scritto nero su bianco, gli scout cattolici dell’Agesci, nel documento “La scelta di accogliere”, approvato pochi giorni fa dal Consiglio generale dell'associazione. A fine aprile l’organo legislativo Agesci, che si riunisce una volta l’anno per deliberare sui temi di indirizzo dell’associazione (185 mila soci in tutta Italia), ha votato all’unanimità per esprimere «il dovere di fare di più» e d’impegnarsi a «sostenere concretamente i progetti di protezione e accoglienza di chi anche oggi rischia di perdere la vita nella ricerca della propria sicurezza». Ne parliamo con Barbara Battilana e Vincenzo Piccolo, presidenti nazionali Agesci.
Spesso l’associazionismo cattolico opera “nel nascondimento”. Con questo documento, invece, Agesci prende una posizione pubblica su uno dei temi più scomodi del momento. Cosa succede?
«Operare concretamente sul territorio, nella discrezione, è sicuramente nel nostro stile. Ma la cronaca dell’ultimo anno e quel cercare di incutere un sentimento di paura e odio, prassi sempre più frequente, ci hanno spinto a ribadire il valore dell’accoglienza. Inoltre un messaggio pubblico aiuta a riportare l’attenzione sulla persona, oltre che permettere ai membri di riconoscersi nell’associazione. Vogliamo metterci a disposizione perché ciascuno si possa sentire accolto».
Come nasce il documento “La scelta di accogliere”?
«È stata una scrittura collettiva, che ha coinvolto circa 300 capi dell'associazione: fra sensibilità e punti di vista differenti, già la stesura del testo è stato un esercizio di accoglienza! Prima di metterci a scrivere abbiamo vissuto una veglia di preghiera, proprio sul tema dell’accoglienza, stimolati dalle parole di don Luigi Ciotti».
Il documento comincia con una citazione del Papa: «Chi ha avuto la forza di lasciarsi liberare dalla paura, chi ha sperimentato la gioia di questo incontro è chiamato oggi ad annunciarlo sui tetti, apertamente, per aiutare altri a fare lo stesso». Quanto conta l'esempio di Francesco?
«Papa Francesco ci stimola molto, riportandoci continuamente alla radicalità del messaggio evangelico: da vivere, prima che tradurre in prassi morale».
Quali urgenze vedete nella società di oggi?
«Come scriviamo nel documento, sentiamo che solitudine e indifferenza sono le principali malattie del nostro tempo, da cui vogliamo guarire innanzitutto noi stessi. Non è in gioco solo l’umanità di chi rischia ogni giorno di soccombere, ma la nostra stessa capacità di amare e di rimanere disponibili all’incontro e alla relazione».
L’accoglienza di cui parlate nel documento parte dall’ascolto e procede con “rispetto e delicatezza”, atteggiamenti che non vanno sempre per la maggiore…
«Questo è lo stile con cui vogliamo relazionarci. Significa accogliere l’altro con la sua storia, il suo presente e il suo desiderio di futuro, rimanendo a nostra volta nella disponibilità ad essere accolti, riconoscendo le nostre stesse fragilità, resistenze e paure. Pensiamo all’icona dei discepoli di Emmaus: Gesù sta loro accanto, ne ascolta i turbamenti e dialoga con loro. Ci piace pensare che accogliere voglia dire farsi compagni di viaggio e dare vicinanza umana, che è poi quella che genera vita e fa sta bene le persone. Tant’è che ai discepoli di Emmaus “ardeva il cuore”».
Per Agesci, concretamente, cosa vuol dire accogliere?
«Andare oltre alla logica della paura: la persona è una ricchezza in quanto tale. Crediamo nella convivialità delle differenze, come diceva don Tonino Bello. Sono diversi i gruppi scout che accolgono richiedenti asilo fra i loro ragazzi, e altrettanti organizzano – ad esempio - corsi d’insegnamento della lingua italiana. Sentiamo che il Vangelo ci interpella con la sua potenza umanizzante: camminare accanto a chi lotta per la propria vita, per la libertà, per la pace, per la salute, per il lavoro, per i propri ed altrui diritti è un privilegio che ci insegna il valore di tutto ciò che spesso abbiamo e non riconosciamo».