Quasi sei milioni di battezzati, divisi in 16 diocesi, che fanno l'11,3% della popolazione (nel complesso 52,5 milioni di abitanti): la comunità cattolica in Corea del Sud è una realtà radicata e ben organizzata, che ricopre un importante ruolo nella nazione anche a livello sociale , culturale e politico, nel senso più ampio di cura del bene pubblico.
In passato è stata definita “la Chiesa dei record”, se si pensa alla sua nascita (la prima evangelizzazione alla fine del secolo. XVIII avvenne per opera di alcuni laici coreani) e alle cifre che ne hanno caratterizzato la crescita in tempi più recenti: nel 1949 la popolazione cattolica in Corea era circa l’1,1% della popolazione, con appena 81 sacerdoti e 46 parrocchie; subito dopo il Concilio Vaticano II era al 2,5% e, nel post-Concilio l'evangelizzazione ha avuto una spinta straordinaria fino alle cifre odierne - oltre 5.700 preti, 1600 uomini e circa 10mila donne consacrati - impreziosite da uno slancio missionario che vede più di mille tra sacerdoti, religiosi e laici coreani presenti in circa 80 paesi del mondo.
Circa dieci anni fa la il motto della Chiesa era un fin troppo ambizioso "twenty-twenty": si puntava cioè a toccare il 20% della popolazione entro il 2020 ma - al di là di proclami eccessivamente trionfalistici o centrati sui numeri - la presenza della comunità cattolica nella società resta significativa in ogni ambito, età, classe sociale. Un dato emerge sugli altri e interroga il cristianesimo in Occidente: in una Nazione in cui l'età media è poco superiore ai 40 anni, meno di un terzo della popolazione supera i 55 anni, e il 45% degli abitanti è tra i 25 e i 54 anni, anche la Chiesa è una comunità di giovani: la percentuale di credenti di età superiore a 65 anni rappresenta solo il 26% del totale e la popolazione giovanile, presente soprattutto nelle aree metropolitane (Seoul, Incheon, Suwon, Uijeongbu) costituisce un corpus essenziale nelle comunità cristiane, che si riconosce e si intravede nelle sviluppate attività di pastorale giovanile.
Come comunità di persone che vive in un paese ad alta propensione tecnologica, un pericolo è rappresentato dalla tendenza alla burocratizzazione o all’efficientismo che possono dare alla Chiesa il volto di “compagnia di profitto” o di “pia Ong”, come ha più volte messo in guardia Papa Francesco. Un altro rischio è quello del clericalismo, con la trasposizione nella comunità ecclesiale di un modello di stampo confuciano, una accentuata gerarchizzazione e rigide relazioni classiste. Sono rischi da cui guardarsi, che non mettono però in discussione una primavera straordinaria, segnata da un'ampia componente giovanile, che continua a dare frutti e che ora si prepara all'atteso evento del 2027.
Infine una ferita aperta su cui la Gmg coreana verserà olio e balsamo: la Corea è una penisola, un solo popolo, un'unica lingua, ma due stati, Corea del Nord e Corea del Sud, divisi dalla cosiddetta “cortina di bambù”, eredità della divisione post bellica e delle diverse zone di influenza dell'Occidente e dell'Unione sovietica. Da allora, l'anelito e l'impegno concreto alla pace, alla riconciliazione e alla riunificazione sono uno dei tratti caratteristici della vita ecclesiale a Sud del confine sul 38° parallelo. La presenza di centinaia di migliaia di giovani di tutto il mondo sarà un messaggio forte alla comunità internazionale anche per la questione dei rapporti con il Nord laddove, fino a prima del Secondo conflitto mondiale e prima dell'instaurazione del regime dinastico tuttora al potere, vi era una fioritura della fede cristiana oggi del tutto inaridita.