Le nuove povertà, l’insidia delle sette evangeliche, il rischio di una religiosità vaga e generica e i contrasti violenti derivanti dal sistema economico globale.
Il Brasile che ospita la XXVIII Giornata mondiale della gioventù è ancora una «terra di missione», come spiega don Michele Autuoro, direttore di Missio, l’organismo pastorale della Cei che si occupa di missioni. «Non foss’altro», aggiunge, «perché si tratta di un Paese che, più di altri forse, incarna le contraddizioni della globalizzazione».
Attualmente i sacerdoti italiani missionari Fidei donum presenti in Brasile sono 171, in tutta l’America Latina 375. A questi si aggiungono altri sacerdoti, che si sono incardinati nelle varie diocesi locali. Alcuni sono divenuti vescovi, altri hanno abbandonato il ministero. L’espressione Fidei donum risale all’omonima enciclica di papa Pio XII pubblicata il 21 aprile 1957 con la quale il pontefice chiedeva ai vescovi delle diocesi più antiche di inviare sacerdoti e laici come "dono della fede" alle giovani chiese dell'Africa. La richiesta si allargò poi anche all'America Latina e ad altre zone del mondo.
Il Brasile, per l’Italia, ha rappresentato da sempre una terra privilegiata di apostolato. Molti sono partiti e hanno deciso di restare lì per spendere il proprio ministero. Lo dimostra la “geografia” delle provenienze dei sacerdoti italiani che copre praticamente tutta la Penisola: 22 arrivano dalla regione ecclesiastica Abruzzo-Molise; due a testa da Campania, Lazio e Sardegna; tre a testa da Sicilia e Puglia; uno rispettivamente dalla Liguria e dalle Marche. 53 Fidei donum arrivano dalle diocesi del Triveneto, 38 dal Piemonte, 33 dalla Lombardia, 18 dall’Emilia Romagna e 12 dalla Toscana.
Gli incarichi svolti, spiegano da Missio, sono per la maggior parte quello di parroci, vicari e collaboratori parrocchiali. Ai sacerdoti, vanno aggiunti anche i 41 laici missionari che svolgono il loro servizio laggiù.
L’avventura missionaria, cominciata negli anni Sessanta, è proseguita inarrestabile in un Paese che ha conosciuto numerosi cambiamenti a livello economico, sociale e politico e che oggi conta 190 milioni di abitanti.
«Da una parte», spiega don Michele, «c’è la convinzione che il Paese si stia arricchendo, con un ceto medio che rivendica un buon alloggio, la macchina, la televisione e il frigorifero. Eppure, non è tutto oro quello che luccica. Ad esempio, il 50 per cento dei 65 milioni di terre arate è nelle mani di grandi gruppi economici e il 54 per cento delle coltivazioni sono transgeniche. Vi è inoltre un forte indirizzo monopolista, basti pensare che l’intera esportazione di grano è realizzata da cinque o sei società e la produzione di carne è retaggio di tre società di refrigerazione».
Per i missionari, insomma, c’è molto da lavorare: «La sfida», prosegue don Michele, «resta quella di sempre, affermare la Dottrina sociale della Chiesa, incentrata sul bene comune, sulla solidarietà e la sussidiarietà. Inoltre, vi è la questione delle sette evangeliche che hanno fortemente penalizzato in questi anni non solo la società brasiliana, ma anche la stessa Chiesa Cattolica. La minaccia dunque di una religiosità disincarnata rispetto alla vita. La missione dunque è davvero a tutto campo. S i tratta soprattutto di riconoscere la dignità della persona umana creata a immagine e somiglianza di Dio. Un compito che coinvolge i nostri missionari in un contesto esistenziale che ha bisogno di redenzione».
L’elezione di Francesco, il papa «preso alla fine del mondo», ha certamente modificato la geopolitica della Chiesa e delle missioni. «La sua elezione», ha spiegato il cardinale Walter Kasper, uno dei grandi elettori di Bergoglio in Conclave, «ha cambiato l’agenda; in testa adesso sono i problemi dell’emisfero Sud del mondo».
Da qui, insomma, arriva la “sfida della povertà” che riguarda milioni di persone e non può lasciare indifferente la Chiesa. Una priorità ben presente da Francesco, che da arcivescovo di Buenos Aires continuamente si spingeva con i suoi preti nelle villas miserias e da pontefice ha lanciato un appello chiaro, quasi un programma di governo: «Sogno una Chiesa povera per i poveri».
Un volto di Chiesa incarnato dalle migliaia di missionari che vivono in Brasile e si dedicano alle parrocchie, alla pastorale di strada o a portare sollievo e speranza nelle sterminate bidonville delle periferie. Da questo punto di vista, secondo don Michele «papa Francesco è una benedizione particolare per l’America Latina. Da tempo», dice, «si avvertiva che l’erosione di fedeli e vocazioni, soprattutto per l'espandersi delle sette evangeliche, non aveva trovato un’adeguata risposta. Papa Bergoglio, in questo senso, è il pastore dei barrios, il missionario gesuita che propone una nuova agenda incentrata sulla congiunzione tra fede e vita. Quindi grande attenzione al sociale, ma anche alla devozione popolare e soprattutto alla formazione del popolo di Dio. Questo ci fa guardare al futuro con speranza».