Zaini, sacchi a pelo, Vangelo, chitarre e un mare di entusiasmo, inarrestabile e contagioso. I ragazzi di Avezzano (in provincia dell’Aquila) sono pronti per partire. Mancano solo alcuni dettagli: «Ancora non sappiamo dove dormiremo, case, palestre, chissà!». Ma non importa. Rio de Janeiro li aspetta. La partenza è fissata per il 14 luglio: prima di arrivare a Rio, i ragazzi della delegazione di Abruzzo e Molise trascorreranno una settimana missionaria nella diocesi di Mogi das Cruzes, nello Stato di San Paolo, per immergersi nella vita locale, nelle realtà più povere della diocesi, vivendo in prima persona un’esperienza di servizio.
Da Abruzzo e Molise partono in duecento: tanti studenti universitari e lavoratori. Siamo lontani, certo, dai numeri della Gmg di Madrid, da quella di Colonia. Il Brasile è un altro mondo, il viaggio è impegnativo dal punto di vista economico. La crisi non risparmia neppure gli incontri della gioventù. Ma un segno molto importante è arrivato dalla Conferenza episcopale italiana, che offre ai partecipanti la quota di iscrizione. Giulia ha 22 anni e gli occhi che brillano. È di Avezzano e studia Lettere, il suo sogno è diventare insegnante. «Questa per me è la Gmg della speranza», dice. «In un momento in cui noi ragazzi vediamo tutto nero intorno a noi, come dice papa Francesco non dobbiamo mai perdere la speranza. Con i giovani del mondo spero di andare a ritrovare la carica e l’energia». Per Giulia è la seconda Gmg, dopo quella di Madrid nel 2011. «La prima è stata una scoperta, un momento di conoscenza: quando sono tornata ho iniziato il cammino nella pastorale giovanile. Quella di Rio la vivrò con molta più consapevolezza».
Carmelina e Michela, timide e sorridenti, arrivano da San Salvo (vicino a Vasto). Hanno appena 16 anni. Tutte e due liceali, sono le più giovani della delegazione. Entrambe sono educatrici dell’Acr (Azione cattolica ragazzi) e fan- no parte del gruppo Giovanissimi. Entrambe vengono da famiglie impegnate nella Chiesa: la mamma di Carmelina, infermiera, è catechista. Quanto a Michela, per lei le Giornate mondiali della gioventù sono una tradizione familiare. «I miei genitori hanno partecipato alla Gmg di Manila: allora mia madre era incinta di mio fratello». Per Carmelina – spiega suo padre Antonello, operaio allo stabilimento Sevel della Val di Sangro – è il primo viaggio fuori dall’Italia. Lui all’inizio non era molto d’accordo. Sua moglie l’ha convinto.
Del resto, a dare loro sicurezza e fiducia è il fatto che a guidare la delegazione abruzzese e molisana è un veterano delle Gmg e una persona che loro conoscono benissimo: monsignor Pietro Santoro, dal 2007 vescovo della diocesi di Avezzano, che ha partecipato a tutte le Giornate mondiali della gioventù, prima, nella sua diocesi originaria di Chieti-Vasto, come responsabile diocesano della pastorale giovanile, poi come delegato regionale, ora da vescovo delegato della Conferenza episcopale abruzzese e molisana.
Appassionato di calcio – tifoso del Vicenza fin dai tempi del seminario a Verona – e di America latina («avrei voluto fare il sacerdote fidei donum in Sudamerica ma il Signore scompiglia le carte»), monsignor Santoro è molto conosciuto e amato ad Avezzano. Tutti per la strada si avvicinano, lo salutano con calore, gli stringono la mano. A tutti lui riserva un sorriso cordiale, una battuta allegra. «Il vescovo non può stare chiuso tra quattro mura, deve uscire per la strada. Le persone non sono nomi, sono volti, ognuno con la sua storia», riflette. «La cosa più importante è costruire una Chiesa che si metta accanto ai giovani, che sia capace di ascoltarli. La dimensione dell’ascolto va recuperata, perché è da lì che nasce la speranza». E spiega: «Le Gmg nascono come risposte a un invito che il successore di Pietro rivolge ai giovani. I ragazzi partono perché sono stati chiamati».
Molte vocazioni sacerdotali, ricorda, sono maturate alle Giornate mondiali. A molti ragazzi le Gmg hanno aperto gli occhi e il cuore, aiutandoli a delineare un progetto di vita. Così è successo a Manuel, 32 anni, di Avezzano. Una laurea in Scienze politiche, vari lavori saltuari, come istruttore di nuoto, poi dieci mesi nel Patronato Acli a Milano. Oggi è iscritto al quarto anno della facoltà di Scienze religiose a Pescara. «Per me questa è la quinta Gmg, dopo Roma, Colonia, Sydney e Madrid. A Roma, è stata la prima volta in cui ho potuto vivere un’esperienza spirituale con tanti altri ragazzi come me. La Gmg è un incontro di fede che bisogna poi riportare nella propria diocesi, ognuno con il proprio carisma. È la responsabilità di noi cristiani: testimoniare la fede agli altri, soprattutto a coloro che sono lontani».
Ogni Gmg ha la sua risonanza, ma monsignor Santoro ricorda con particolare affetto quella di Manila, che accolse 5 milioni di partecipanti. «Si va alle Gmg per annunciare che la fede non è un guscio privato, ma un contagio visibile», dice. «I giovani partono non come viaggiatori solitari ma come inviati dalle Chiese locali, che scommettono sulla loro capacità di prendere il largo». E conclude: «Il simbolo delle Gmg è la Croce, che è sempre la stessa fin dagli inizi. La Croce, portata dai giovani come segno di prossimità alle quotidiane fatiche di fedeltà al Vangelo, diventa alternativa agli stili egoistici di una vita ripiegata su sé stessa. Le Gmg esortano i giovani a non vivacchiare all’ombra della mediocrità, a ricordare che il cuore dei credenti non è in vendita sui mercati della storia».
Giulia Cerqueti