Ormai è leggenda. Si è ritirato in Svizzera per evitare i riflettori e in molti cercano di rubargli una foto anche solo mentre si sposta dal supermercato alla farmacia. Jean-Luc Godard è il fantasma della Croisette: si tiene lontano dalle kermesse e si fa vedere il meno possibile. Intanto continua a lavorare, a cercare nuovi linguaggi. La settantunesima edizione del Festival di Cannes lo omaggia con la sua locandina: un’inquadratura riadattata da Pierrot le fou (Il bandito delle 11), dove Anna Karina e Jean-Paul Belmondo si scambiano al volo un bacio sorridendo. Era una storia romantica, che poteva essere il seguito ipotetico di Bande à part, con tanto di cinemascope e technicolor.
Oggi, con Le livre d’image, Godard torna in concorso, a quattro anni dal suo Audieu al language. Il suo ormai è un cinema totalmente sperimentale, di assoluta avanguardia, che al di là delle regole acquisite per riscrivere i canoni della settima arte. Non esistono una vicenda o degli attori: il maestro segue un’idea, s’interroga all’infinito sul rapporto immagine e parola, che devono essere riproposte insieme per lasciare il segno. I suoni si perdono nell’aria se non vengono accompagnate da ciò che si vede.
Davanti agli occhi del pubblico scorrono le epoche, le ideologie e le guerre: quelle degli americani, che sembrano non voler inseguire la pace, e quelle quotidiane, di chi deve confrontarsi con la vita. E poi c’è la rivoluzione di chi non accetta l’autorità che gli viene imposta dall’alto, perché la politica fa solo i propri interessi. Godard guarda anche al Medio Oriente, alla brama di potere e all’Isis. La voce fuori campo parla di un uomo che voleva governare sul Golfo intero, arricchendosi con i soldi del petrolio. Come sia andata a finire possiamo immaginarlo. Scorrendo le pagine del “libro delle immagini”, troviamo la critica verso la nostra società, specialmente verso lo Stato e l’impietoso scorrere del tempo. Non si può tornare indietro, si deve guardare avanti, per non ripetere gli stessi errori. Bisogna ragionare con la propria testa, studiare, per non essere sommersi dalla velocità e dal rumore. Le livre d’image è una riflessione altissima, che si mescola con un gioco cinefilo di grande arguzia. Lo squalo riprende con ironia le forme di un aereo militare; la Joan Crawford di Johnny Guitar ci spiega che cosa significa mentire a chi si ama; L’atalante di Jean Vigo è quasi onnipresente. Ma il riferimento più bello è il vecchio che balla ne Il piacere di Max Ophuls. La giovinezza è ormai un ricordo, e resta solo la nostalgia. L’inganno è di voler apparire come non siamo, molte volte seguendo la corrente senza nemmeno interrogarci sul perché. Eterno Godard, che raccoglie scroscianti applausi, con un trionfo nella sala Lumière. In conferenza stampa appare in collegamento telefonico da casa e, come sempre, diventa protagonista.